"Fare qualcosa non è lasciar essere" (Alexander Lowen)
Tratto dal libro: paura di vivere di Alexander Lowen
"Tutte le creature di Dio, tranne l'uomo, esistono soltanto. L'uomo non si accontenta di essere soltanto; egli deve fare qualcosa, realizzare qualcosa, creare qualcosa. L'impulso dell'Io a creare produce cultura, [...] ma può anche essere lo strumento della sua distruzione [...].
L'antitesi tra essere e fare è riconosciuta dal nostro linguaggio. Quando diciamo: «Così sia», per esempio, intendiamo: «Non fare nulla». Fare qualcosa non è lasciar essere. [...] Quando la situazione è interiore, cioè uno stato dell'essere, cercare di cambiare questo stato con il fare ha come risultato una riduzione dell'essere. Questo può essere spiegato dal fatto che, per agire su di sé, una parte della personalità deve ribellarsi all'altra. L'Ego o l'Io si ribellano al corpo usando la volontà contro le sensazioni del corpo. In questo processo l'essere è scisso e quindi ridotto. [...] I nevrotici tentano sempre di cambiare se stessi usando la forza di volontà, ma questo serve solo a renderli più nevrotici. La salute emotiva può essere raggiunta solo attraverso una consapevolezza di sé e un'accettazione di sé. Lottare per cambiare il proprio essere ha come conseguenza che la persona è coinvolta più profondamente nel destino che cerca di evitare. [...]
Il cambiamento prodotto dall'applicazione di una forza dall'esterno è prodotto dal fare e influisce negativamente sull'essere. Tuttavia, c'è un processo di cambiamento che avviene dall'interno e non richiede sforzi coscienti. È chiamato crescita e migliora l'essere. Non è qualcosa che si può fare: quindi non è una funzione dell'Io ma del corpo. [...]
L'Io è impegnato a stabilire un fine e a controllare le azioni per raggiungerlo. D'altra parte un'attività in cui manca il coinvolgimento dell'Io appartiene alla modalità 'essere'. Questo significa che, se il fine è secondario rispetto all'azione, l'attività si qualificherebbe come essere piuttosto che come fare. Per esempio, passeggiare per il corso appartiene alla modalità 'essere' mentre camminare rapidamente verso la stazione per prendere il treno è 'fare'. [...]
Un'altra distinzione importante riguarda il centro dell'attività. Quando l'attività è centrata su ciò che accade nel mondo esterno, può essere considerata 'fare'. Quando l'attenzione è rivolta su ciò che succede all'interno, cioè sulle sensazioni che si hanno durante un'attività, siamo nella modalità 'essere'. [...]
L'essere si identifica alle sensazioni. Non si può fare o produrre una sensazione come non si può fare l'essere. Per essere autentica, una sensazione deve nascere spontaneamente [...]. Inoltre, le sensazioni non compiono o producono nulla. Le sensazioni non hanno nessuno scopo o obiettivo; in altre parole, non possiamo sentire allo scopo di. [...]
Il fare non implica né determina sensazioni, anzi, può veramente inibirle o bloccarle. Per esempio, quando cammino dal'ufficio alla stazione ferroviaria con l'idea di raggiungerla il più rapidamente possibile, non provo altre sensazioni oltre a un senso di fretta di prendere il treno. Tutti i miei movimento sono tesi verso l'obiettivo e le sensazioni sono irrilevanti. Di fatto, esse ostacolerebbero una prestazione efficiente. Nell'interesse dell'efficienza trasformo me stesso in una macchina fin quando l'obiettivo è raggiunto. [...]
D'altra parte, è possibile fare o produrre qualcosa con sentimento. Affinché ci siano sensazioni, il processo o l'azione devono essere almeno importanti quanto lo scopo. Nell'esempio di prima, se mi avviassi verso la stazione con comodo perché ho un sacco di tempo, proverei il piacere della passeggiata e mi divertirei a guardare la gente e le vetrine. Ciò succede a volte, ma di solito ho troppo da fare. Non è una frase nella bocca di tutti? [...] La gente ha tanta fretta da non avere il tempo di respirare o di essere. Essere richiede tempo: tempo per respirare e tempo per sentire. [...] Se prestiamo al processo almeno tanta attenzione quanta ne prestiamo all'obiettivo, fare diventa un'azione creativa e che ci esprime e aumenta il senso dell'essere. Per quanto riguarda l'essere, ciò che conta non è quello che si fa, ma come si fa. Per il fare, è vero il contrario.
Quando un'attività ha la qualità del fluire appartiene all'essere. Quando ha la qualità dello spingere appartiene al fare. [...] Un'attività che per essere svolta richiede una pressione è dolorosa perché [...] impone uno sforzo cosciente grazie all'uso della volontà. [...] L'importanza data all'acquisizione di nozioni e il disinteresse per le sensazioni fa sì che i bambini si oppongano alla scuola perché sentono che il loro essere è negato da questo sistema" (pp. 80-83).
Più il corpo è vivo, più grande è l'essere" (Alexander Lowen)
"I ruoli che assumiamo nella vita si strutturano nei nostri corpi come il nostro modo di essere nel mondo. Ma diventano poi gli unici modi in cui possiamo essere, e in questo modo ci limitiamo gravemente. Questo è un altro modo di affermare che il destino di una persona è determinato dal suo carattere che è strutturato nel corpo da tensioni muscolari croniche. Queste tensioni costituiscono 'modi di tenersi'. Ci sosteniamo, ci conteniamo, ci tratteniamo, ecc. Tenersi è una forma di controllo. Tenendoci, non permettiamo che il flusso dell'eccitazione scorra naturalmente, lo controlliamo. Questo tenersi [...] finisce per diventare inconscio. [...]
Sebbene il tenersi sia inconscio, lo stiamo 'facendo'. I muscoli volontari o striati sono sotto il controllo dell'Io. Le tensioni croniche di questi muscoli riflettono un'inibizione del Super Io contro l'espressione di certe sensazioni. All'inizio, le tensioni sono create coscientemente per bloccare l'espressione di un impulso che potrebbe rievocare una risposta ostile da parte dei genitori. Con il tempo, tuttavia, la tensione diventa cronica [...]. Non ci lasciamo essere [...]. Ci tratteniamo contro la rabbia, la tristezza e la paura, conteniamo i pianti e le grida, tratteniamo il nostro amore: facciamo tutto questo perché abbiamo paura di lasciarci andare, paura di essere, paura di vivere. [...]
La terapia [...] non è un modo di imparare come essere, ma come non fare.
Prendiamo la respirazione come esempio di ciò che voglio dire parlando di lasciarsi andare. Quando ero in terapia con Wilhelm Reich, il processo terapeutico comportava una respirazione profonda. Reich mi chiese di respirare mentre ero disteso sul lettino e, da 'bravo' ragazzo qual ero, cominciai a farlo. Non succedeva niente, perché non mi 'lasciavo andare'. Allora Reich disse: «Non farlo». All'inizio risposi: «Ma mi ha detto di respirare». «Sì», controbatté Reich, «devi lasciar andare il respiro, non farlo». Imparare che la respirazione non era qualcosa da fare mi richiese qualche tempo. Se 'mi lasciavo andare' o non facevo niente, avrei respirato facilmente e profondamente come un bambino o un animale. [...]
Trattenere il respiro è un modo efficace per ridurre le sensazioni. Questo è necessario quando le sensazioni sono troppo dolorose o troppo minacciose. Fin quando avrà paura di queste sensazioni, la persona non si lascerà respirare naturalmente. [...]
Il 'tenersi', seppur inconscio, è una difesa dell'Io contro le sensazioni che, in passato, sono state percepite come pericolose. Per esempio, una persona potrebbe aver paura della propria tristezza, sentendo che, se si arrendesse a essa, cadrebbe in una disperazioni così profonda a cui non potrebbe sopravvivere. [...] L'individuo nevrotico ha paura delle sensazioni [...]. Per questa ragione si potrebbe considerare la nevrosi una paura di essere o una paura della vita. [...]
Essere è lo stato di vita del corpo. Più il corpo è vivo, più grande è l'essere. La potenzialità dell'essere è ridotta da tutte le tensioni croniche che limitano la motilità del corpo. [...]
Se abbiamo paura di essere, di vivere, possiamo mascherare questa paura intensificando il nostro fare. Più siamo occupati, meno tempo abbiamo disponibile per sentire, essere e vivere. E possiamo ingannare noi stessi credendo che il fare sia essere e vivere. [...] Il ritmo frenetico e febbrile della vita moderna è una prova evidente della paura che abbiamo dell'essere e della vita. Fin quando questa paura esisterà nell'inconscio di una persona, essa correrà più in fretta e farà di più per non sentire la sua paura" (pp. 84-87).
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