Premessa: verso una libertà di scelta.
Questo breve resoconto sulle terapie per la cura dei tumori è da intendersi a carattere puramente informativo per i naturopati. L'obiettivo dello scritto non è tanto quello di voler orientare il paziente a intraprendere una terapia piuttosto che un'altra, quanto di informarlo circa l'esistenza di possibilità "diverse" rispetto a quelle ufficiali già note.
In tal senso l'informazione, che è il primo passo verso la conoscenza, potrebbe portare il paziente, o i suoi familiari, a riflettere in modo libero e più ampio, sulla migliore opportunità di cura. Avviarsi verso una libertà di scelta è un percorso difficilissimo che non può mai prescindere dalla conoscenza.
Si parlerà maggiormente delle situazioni con prognosi peggiore, dei casi in cui la malattia è avanzata e le possibilità di guarire sono minime, in quanto si parte dal presupposto che nei casi più fortunati ci sia meno bisogno di riflettere per valutare la possibilità di intraprendere cure diverse.
Questo resoconto non può minimamente essere ritenuto esaustivo sulle diverse opportunità terapeutiche esistenti per la cura dei tumori, bensì vuol rappresentare un tentativo forte di riflessione su di esse.
In questa prospettiva tale resoconto può essere considerato non certamente un punto di arrivo quanto un punto di partenza, un primo passo verso una presa di coscienza coraggiosa sulla propria malattia e su ciò che il paziente o i suoi familiari possono "tentare" al di là di ciò che già si conosce. In tal senso, iniziare ad assumere un ruolo più consapevole e attivo nei confronti della malattia, potrebbe rivelarsi di grande aiuto proprio in quelle situazioni con prognosi più infausta, quando la disperazione è tale da non sapere più cosa si deve fare.
Il senso di impotenza è devastante non solo per il malato ma anche per tutte le persone a lui più vicine. Così, dall'oggi al domani, ci si trova in un "tunnel", senza sapere perché ci si è entrati e senza intravedere una via d'uscita. Ma a volte può accadere di avvertire la necessità di dover fare qualcosa, e allora il pensare a delle possibili alternative diventa assolutamente indispensabile, proprio al fine di mantenere viva una speranza.
In questo contributo, più che fornire delle risposte, si cerca volutamente di creare interrogativi, di mettere in discussione certezze che sembrano acquisite, consapevoli del fatto che la verità assoluta sui tumori purtroppo non la possiede ancora nessuno. Le diverse possibilità terapeutiche di cui si parlerà non saranno volutamente trattate in modo esaustivo e completo, per lasciare ad ogni paziente o familiare, il giusto spazio di approfondimento personale. È infatti solo attraverso una serie di riflessioni e valutazioni soggettive sulle diverse opzioni terapeutiche che ogni paziente potrà decidere autonomamente il proprio percorso di cura.
Le terapie ufficiali.
La scienza è continuamente alla ricerca di nuove soluzioni per combattere questa malattia su cui tanto si studia da tantissimi anni ma che ancora rimane in parte abbastanza sconosciuta. È infatti ancora poco chiaro cos'è che scatena la crescita incontrollata delle cellule maligne e i meccanismi che consentono al tumore di progredire nonostante i tentativi di fermarlo. A dispetto degli sforzi della medicina purtroppo ancora si muore di tumore.
Le campagne di prevenzione basate sull'indicazione di alcuni comportamenti a rischio (cattiva alimentazione, fumo, etc...) riducono in minima parte le possibilità di ammalarsi. Alcune analisi cliniche di controllo periodico danno la possibilità di diagnosi più precoci (mammografia, PSA), il che consente di scoprire alcune forme di tumore allo stadio iniziale, con buone possibilità di guarigione.
Ma l'incidenza è in aumento. Ci si ammala di più rispetto ad alcuni decenni fà. Le cause sono probabilmente molteplici e ancora in parte sconosciute.
Le terapie ufficiali per la cura dei tumori negli ultimi anni si stanno ampliando. Alla chirurgia, che rappresenta senza ombra di dubbio l'arma più efficace per la maggior parte dei tumori non avanzati che colpiscono gli organi, si affiancano da diversi decenni la chemioterapia, la radioterapia e le terapie ormonali. La chirurgia ha raggiunto uno standard qualitativo altissimo. Anche negli interventi più difficili la percentuale di rischio è veramente bassa. Nelle neoplasie agli stati iniziali consente l'asportazione del tumore dando le migliori opportunità di guarigione.
Tuttavia è bene sapere che in tumore di appena 1 cm ci sono circa 1 miliardo di cellule cancerose. In seguito ad un intervento chirurgico ben riuscito un' eventuale minima rimanenza residua pari allo 0,1% di cellule tumorali, significa avere ancora circa 1 milione di cellule maligne che potrebbero progredire. Per questo motivo spesso viene effettuato un trattamento chemioterapico adiuvante con la speranza di riuscire ad eliminare l'eventuale rimanenza. Su alcune tipologie neoplastiche la chemioterapia oggi consente di ottenere ottimi risultati, utilizzando farmaci più attivi e meno tossici. Più precisamente su leucemie, linfomi, sarcomi, tumori del testicolo e del corion la chemioterapia consente reali possibilità di guarigione. In altre neoplasie può contribuire ad aumentare significativamente la sopravvivenza, o a diminuire i sintomi della malattia. Tuttavia nella maggior parte dei tumori degli organi il trattamento chemioterapico ha un'efficacia molto limitata. Il motivo principale risiede nel fatto che non tutte le cellule neoplastiche vengo colpite dall'azione dei farmaci durante lo stadio di divisione cellulare. Quelle che sopravvivono si dimostrano essere sempre più resistenti al trattamento e aggressive. Di conseguenza le stabilizzazioni o le regressioni della malattia durante il trattamento chemioterapico sono spesso poco durature.
Gli evidenti limiti terapeutici offerti dai farmaci citotossici (chemioterapici) e dalle terapie radianti (radioterapia) per la maggior parte delle neoplasie ad alto grado di malignità, ha fatto ampliare gli sforzi dei ricercatori di tutto il mondo verso soluzioni diverse: lo studio dei geni, i nuovi vaccini terapeutici e lo studio delle cellule staminali rappresentano le sfide per la ricerca futura.
I farmaci a bersaglio molecolare.
Lo sviluppo delle biotecnologie applicate alla ricerca oncologica ha permesso, attraverso l'identificazione di molecole che interagiscono con un bersaglio molecolare specifico, di guardare alla cura del tumore con un pizzico di ottimismo in più. Nel prossimo futuro la cura alle neoplasie diventerà sempre più specifica e selettiva e, di conseguenza, meno invasiva, andando a colpire solo le cellule tumorali.
La produzione degli anticorpi è una delle forme più evolute a disposizione dell'uomo per combattere invasori esterni (virus, batteri) ed interni (tumori). Purtroppo le cellule neoplastiche, mettendo in atto una serie di strategie, sfuggono al riconoscimento degli anticorpi, rendendo inefficace la loro potenzialità difensiva. Le mutazioni presenti su alcune proteine delle cellule neoplastiche si comportano come interruttori sempre accesi, col risultato di stimolare costantemente la proliferazione cellulare maligna.
Da qui l'idea (già dal 1975) di produrre degli "anticorpi monoclonali", cioè anticorpi prodotti in laboratorio capaci di legarsi selettivamente all'antigene (proteina) presente solo sulle cellule tumorali. Sono quindi farmaci altamente specifici. Attualmente sono più di mille i farmaci in corso di sperimentazione, ma solo qualche decina è in uso per alcune tipologie di tumore.
La ricerca mette oggi a disposizione un´ampia gamma di agenti specifici per bersagli molecolari: anticorpi molecolari diretti a bloccare la proliferazione cellulare attraverso il recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR), inibitori delle proteine tirosin-chinasi, inibitori della farnesilazione della oncoproteina RAS, inibitori della angiogenesi (che inibiscono il rifornimento di sangue al tumore attraverso l´interruzione della produzione di nuovi vasi sanguigni), etc..
Su alcune tipologie neoplastiche alcuni di questi farmaci si sono rivelati molto efficaci.
Ad esempio nella leucemia mieloide cronica il farmaco inibitore della tirosin-chinasi Glivec (imatinib mesilato) determina una risposta clinica positiva nella quasi totalità dei casi.
Il limite di questi farmaci è dato dal fatto che non sempre l´antigene viene espresso dalle cellule tumorali. Più precisamente, come sostiene lo stesso Silvio Monfardini, Direttore dell´Istituto di Oncologia dell´Azienda Università Ospedale di Padova, "non tutte le cellule neoplastiche esprimono il bersaglio contro cui sono diretti i farmaci. Può anche accadere che l´anticorpo monoclonale non si attivi direttamente sulla cellula, ma venga bloccato dall´antigene tumorale che circola nel sangue e quindi risulti inutile perché non può arrivare al bersaglio biologico per cui è costruito". Inoltre, in molti casi, benché preciso ed efficiente, il farmaco monoclonale non è sufficiente ad inibire completamente lo sviluppo della malattia. Spesso la crescita del tumore non è legata ad un unico fattore. Pertanto il blocco di un unico elemento attraverso un anticorpo specifico, come ad esempio l´anti - fattore di crescita dei vasi VEGF, può non bastare.
L'obiettivo delle terapie ufficiali nelle fasi avanzate della malattia:
aumentare la sopravvivenza.
I tumori non sono tutti uguali. Si distinguono per il grado di malignità e per la stadiazione che spesso può determinare la presenza di metastasi.
Per qualsiasi tipo di tumore esistono 4 stadi (in ordine crescente di gravità) che valutano l'estensione della malattia. La conoscenza dello stadio della malattia è importante per fornire al malato le cure più appropriate, oltre che per formulare una probabile prognosi.
Gli stadi I e II sono considerati iniziali. La neoplasia è circoscritta e la prognosi, soprattutto se non c'è coinvolgimento dei linfonodi, è spesso positiva.
Gli stadi III e IV sono invece considerati avanzati e la prognosi è quasi sempre infausta. La malattia è diffusa in diversi organi e normalmente risulta essere più aggressiva e resistente alle terapie. La neoplasia, a questo punto, avendo fatto metastasi, deve essere aggredita in modo sistemico.
In conseguenza di ciò l'operazione chirurgica spesso non trova un'indicazione clinica valida e la terapia più idonea è normalmente rappresentata dalla chemioterapia per il trattamento iniziale (1° linea) e dai farmaci a bersaglio molecolare per il trattamento successivo (2° linea), più eventualmente dei cicli di radioterapia.
Nella fase avanzata della malattia, tali terapie, pur avendo un'azione sistemica, agendo cioè su tutto il corpo, non hanno più lo scopo di guarire, ma sono finalizzate ad aumentare il più possibile la sopravvivenza limitando i sintomi della malattia e i dolori del paziente (obiettivo curativo / palliativo). A parte alcune eccezioni rappresentate da tumori con basso grado di malignità (come ad esempio il tumore del testicolo), il trovarsi con una neoplasia avanzata al III o IV stadio per la quale si può solo tentare di rallentarne lo sviluppo, vuol dire vivere la situazione più drammatica per un malato di tumore (e per i suoi cari).
È una situazione psicologica terribile: ci si sente dei condannati a morte. Si fanno pensieri negativi del tipo: "forse morirò tra pochi mesi", "forse il progredire della malattia mi porterà a breve a provare dei dolori insopportabili", "cosa sarà della vita dei miei cari senza di me", ed altri pensieri contrastanti in cui un naturale istinto di sopravvivenza porta in ogni caso a nutrire delle speranze: "forse se riesco a sopravvivere per qualche anno, poi potrò contare su una nuova cura risolutiva", "forse potrò entrare in qualche nuovo protocollo sperimentale", "forse esiste una cura non ufficiale miracolosa".
L'aumento della sopravvivenza.
Nei casi di neoplasia agli ultimi stadi aumentare la sopravvivenza può voler dire cose profondamente diverse: prolungare la vita di diversi anni o di pochi mesi. Nel primo caso è possibile affrontare la vita con un certo coraggio sperando che nel corso del tempo si possa arrivare ad una cura nuova possibilmente risolutiva. Nel secondo caso è veramente difficile, se non impossibile, trovare la forza anche per affrontare il presente.
I medici sono oramai in grado di formulare prognosi con un margine di errore molto basso, soprattutto quando le aspettative di vita sono legate a pochi mesi. Spesso trovano il modo per informare il malato o i parenti stretti della situazione, altre volte non lo fanno perché non lo ritengono di alcun aiuto, sia da un punto di vista psicologico, sia da un punto di vista terapeutico, in quanto secondo loro, non esistono cure alternative significative.
Ma dinanzi alla certezza di una morte inevitabile ed imminente è eticamente corretto ritenere qualsiasi terapia alternativa non significativa ?
O forse è ragionevole pensare che per un malato senza più possibilità di guarigione, il dover affrontare trattamenti invasivi di scarsa efficacia sia ancor meno significativo che valutare con la dovuta attenzione la possibilità di una terapia diversa ?
In questa prospettiva, per il malato, ricorrere ad una possibilità terapeutica diversa potrebbe essere solo un desiderio legittimo, o addirittura un diritto sacrosanto ?
Nella realtà tale presunto desiderio o diritto vengono negati. Perché ?
Come nasce una cura.
Le terapie ufficiali sono terapie che sono state sperimentate a lungo. Normalmente un farmaco prima di poter essere immesso sul mercato e impiegato a fini terapeutici deve passare una serie di test secondo precisi criteri scientifici su cui esiste un accordo internazionale.
Più precisamente quando un gruppo di ricercatori immagina una nuova cura, viene avviata dapprima la fase preclinica, cioè vengono studiate le proprietà chimiche e tossicologiche della sostanza, con lo scopo di identificare in laboratorio l'eventuale tossicità. Solo successivamente viene avviata la vera sperimentazione clinica sull'uomo, che si articola in 3 fasi.
Nella fase I (che dura circa 1 anno) si deve confermare l'assenza di tossicità (già rilevata a livello preclinico in laboratorio) anche sull'uomo. Nella fase II (che dura circa 4 anni) si deve verificare l'attività antitumorale del farmaco, stabilendo tempi e dosaggi e raggruppando i soggetti (circa un centinaio) in base a caratteristiche simili.
Nella fase III (che può durare tanti anni) si cerca di stabilire l'efficacia del farmaco rispetto alle terapie già esistenti. La sperimentazione coinvolge migliaia di persone (secondo un preciso protocollo in cui vengono arruolati solo pazienti aventi determinate caratteristiche). Una volta valutata la reale efficacia negli anni in termini di aumento della sopravvivenza rispetto al farmaco preesistente, nonché l'entità degli effetti collaterali a lungo termine, si passa alla commercializzazione.
Ciò significa che un farmaco prima di essere immesso sul mercato impiega dai 10 ai 15 anni. E' un regolamento a tutela della salute del malato che vieta l'utilizzo di un farmaco che non abbia ancora superato tutti i test.
Il pensiero scientifico.
Da sempre la scienza procede secondo un criterio: tutto ciò che non supera determinate prove non è significativo. Di conseguenza non ha valore, non esiste. È un modo di procedere che assicura ai pazienti oncologici la migliore possibilità di cura tra quelle conosciute e sperimentate.
Ed è un bene che sia così. Pensiamo alla confusione a cui potrebbe andare incontro un paziente oncologico se dovesse scegliere come curarsi tra decine o centinaia di possibilità diverse, senza che ci sia un criterio universalmente riconosciuto che stabilisca quale sia la terapia che offra le migliori possibilità di successo (per ogni tipo di malattia) fra le tante esistenti.
Grazie alla ricerca scientifica si è in grado di impostare la terapia più idonea per ogni tipo di tumore, cioè che tipo di opzione terapeutica (intervento chirurgico, farmaco chemioterapico, etc...) scegliere in base allo stadio della malattia e alle caratteristiche del paziente. In altre parole è possibile scegliere la strategia terapeutica che sulla carta da le migliori chance di successo.
Quando la prognosi è particolarmente infausta.
La maggior parte dei tumori con alto grado di malignità, soprattutto in uno stadio avanzato, si dimostra abbastanza "resistente" alle terapie. In questi casi, se andiamo a valutare le statistiche (ad eccezione di poche tipologie), ci accorgiamo che la percentuale di sopravvivenza a 5 anni è veramente molto bassa. In certi casi l'aspettativa di vita è di alcuni mesi, non di anni. Cosa fare in questi casi ? La possibilità di tentare un nuovo farmaco promettente non è sempre possibile, infatti per essere "arruolati" in una sperimentazione di un nuovo farmaco bisogna possedere determinate caratteristiche (essere ad un certo stadio di malattia, aver fatto già un certo numero di cicli di chemio, etc...).
In casi come questi, spesso ci si pone un interrogativo: è meglio seguire in ogni caso i protocolli ufficiali, anche a fronte di aspettative per nulla incoraggianti, affrontando terapie invasive, o meglio tentare una cura diversa, forse meno testata, con la speranza di ottenere una risposta migliore ? Non credo esista una risposta giusta in senso assoluto. Probabilmente ogni malato dovrebbe poter decidere autonomamente. Ma sappiamo che non è così.
La validità delle terapie non ufficiali.
Esistono centinaia di terapie non ufficiali che promettono di curare i tumori. Con molta probabilità la quasi totalità di queste possiedono una certa fondatezza, nel senso che i principi di base su cui si reggono sono ragionevolmente sensati e sinceri. Tuttavia la loro potenziale efficacia potrebbe essere estremamente diversa e dipendente da numerose variabili a volte non perfettamente controllate. Rispetto a quelle ufficiali, sono terapie la cui validità è molto meno "scientifica", nel senso che sono cure che spesso non hanno passato le varie fasi sperimentali secondo i criteri standard di scientificità. Spesso le ricerche preliminari sono fatte su un numero statisticamente poco significativo di soggetti, i risultati non vengono sempre controllati nel tempo, così come gli effetti collaterali a lungo termine. Nella maggior parte dei casi sono terapie la cui efficacia, non essendo documentata su riviste scientifiche, rimane legata alla fiducia di chi la propone o alle testimonianze dirette dei pazienti che ne fanno uso.
Tutto ciò può portare a concludere che intraprendere una terapia non riconosciuta equivalga necessariamente a commettere un errore.
Perché abbandonare il certo per l'incerto ?
Ma forse prima sarebbe giusto domandarsi il certo che cos'è.
Quando il "certo" è rappresentato da un percorso che porta inesorabilmente verso la morte, allora può avere un senso scegliere una strada diversa ? Questo è il vero quesito a cui dover rispondere.
È giusto criticare quei pazienti condannati a morte da una prognosi altamente infausta che trovano il coraggio di abbandonare la strada certa per una più incerta ?
Nella maggior parte dei casi affidarsi ad una cura non ufficiale significa affidarsi ciecamente al medico che la propone senza una garanzia ufficiale che attesti la validità della cura. Ci si domanda se potrebbero sopraggiungere effetti collaterali a breve o lungo termine, se si potrà sempre contare su un' assistenza medica di alto livello, nel caso qualcosa vada storto, dal momento che non si è più curati all'interno di una struttura pubblica, e più di ogni altra cosa ci si domanda se la cura sarà efficace.
Ma una terapia non riconosciuta, non è detto che non possa essere efficace. Ci sono stati diversi casi con malattia avanzata trattati solo con terapie di tipo alternativo che hanno ricevuto benefici significativi sia in termini di aumento della sopravvivenza che in termini di qualità di vita. Tuttavia nella totalità dei casi i miglioramenti e le guarigioni inspiegabili sono state ritenute dalla scienza medica ufficiale non direttamente riconducibili alla efficacia della terapia, bensì dovuti a "miracoli" naturali. Nella medicina ufficiale l'idea che le terapie alternative siano totalmente inefficaci nella cura dei tumori è purtroppo ampiamente diffusa. È una sorta di "credo", un assunto di base, un dogma assoluto per il quale non è minimamente possibile accettare l'idea che una cura non adeguatamente testata possa avere un'azione curativa nei confronti dei tumori.
Il "farmaco garantito".
Quello che vogliamo sottolineare è che una cosa è non possedere le "garanzie" che una cura sia efficace, un'altra è negare tassativamente a priori che possa esserlo.
Perché accade questo ?
Il modo di procedere clinico-scientifico, come è già stato detto in precedenza, implica che tutto ciò che non supera certi criteri e passaggi obbligati accettati universalmente, non sia significativo. Un modo di procedere rigoroso a tutela della salute del malato. Un sistema "a garanzia" che produce un "farmaco garantito". E fin qui nulla da obiettare.
Ma cosa succede quando questo "farmaco garantito", benché ineccepibile nella sua logica teorica, si dimostra nella realtà clinica di scarsa utilità nel curare una malattia avanzata ?
Cosa fare quando in simili circostanze il sistema sanitario non consente al malato di poter accedere ad un farmaco sperimentale che non ha ancora terminato il ciclo di prove benché si sia dimostrato particolarmente efficace nelle fasi precliniche ? Il malato non ha sempre a disposizione tanti anni di tempo per aspettare.
Un sistema sanitario che non concede queste opportunità è un sistema giusto a tutela del malato o forse è troppo rigido e falsamente etico ?
La libertà di scelta e l'importanza della speranza.
Ogni malato che ha una prognosi molto severa dovrebbe avere il diritto di scegliere come curarsi. Soprattutto quando scegliere come curarsi può voler dire scegliere come morire. È' ragionevole pensare che un malato con un'aspettativa di vita di pochi mesi voglia evitare terapie con pesanti effetti collaterali e preferisca provare una cura meno invasiva.
La libertà di scegliere come curarsi è però un'utopia. Infatti quando ci si rivolge ad un ospedale pubblico le altre possibilità terapeutiche non vengono neanche menzionate, come se non esistessero. Di conseguenza non si hanno alternative se non quelle di affidarsi alle terapie ufficiali pur sapendo ciò a cui si andrà incontro. Si comincia a sperare nel "miracolo" e a perdere la speranza.
Ma facciamo un passo indietro: il "farmaco garantito" è talmente ben studiato che si sa tutto (o quasi) di lui: se è tossico o no; se è efficace nei confronti di quel tipo specifico di tumore; che tipo di azione ha nei confronti della malattia a quel particolare stadio; se è in grado di "bloccare" o far "regredire" la malattia e per quanto tempo. Grazie al fatto che le statistiche sono fatte su grandi numeri, le possibilità di errore in senso positivo o negativo sono veramente poche. Sono pochi i casi in cui le aspettative vengono disattese.
Cosa c'è di peggiore per un malato oncologico (e per i familiari) che sentirsi un condannato a morte senza la minima possibilità di alternative ? Perché non regalare comunque una speranza tentando un farmaco promettente anche se non ha ancora superato gli ultimi test ? Perché non regalare una speranza indicando una cura "diversa" (anche non ufficiale) quando si sa già che quelle ufficiali non potrebbero far altro che allungare la sopravvivenza di qualche mese ? Non c'è niente di più importante per un malato grave (e per i suoi cari), della speranza.
La speranza, anche se minima, è l'unica possibilità che si ha per poter affrontare il percorso della malattia, per affrontare la quotidianità.
Un malato senza più speranza è già morto. Un familiare senza più speranza è una persona che difficilmente potrà essere d'aiuto al malato perché lo vede già morto.
Le terapie non ufficiali. Quando?
In quali casi può essere giusto ricorrere alle terapie alternative ?
È una domanda a cui non è facile rispondere. Chi può stabilire quando e se ricorrere a terapie non riconosciute?
Partendo dal presupposto che è sbagliato o comunque non consigliabile abbandonare le cure ufficiali soprattutto per tutti quei malati con buone possibilità di guarigione o con buone aspettative di vita, quando può essere ritenuto plausibile ricorrere a terapie alternative ?
Le terapie complementari di tipo biologico come coadiuvanti delle terapie ufficiali: il potenziamento del sistema immunitario.
Innanzitutto è bene precisare che si può ricorrere alle terapie non ufficiali anche contemporaneamente a quelle ufficiali. In questo caso è più giusto parlare di terapie complementari coadiuvanti che di terapie alternative. Più che un'alternativa da utilizzare in sostituzione delle terapie convenzionali, andrebbero considerate un completamento di esse, con le quali ci si prefigge di prolungare l'aspettativa di vita, migliorandone sempre la qualità. Il fatto di intraprendere una terapia complementare senza abbandonare la terapia ufficiale riveste un'importanza fondamentale per il malato. Consente infatti di:
- continuare a sentirsi tutelato dal "farmaco garantito";
- non costretto ad agire in clandestinità rispetto al pensiero vigente;
- "sperare" in maggiori possibilità di successo;
- sopportare meglio i pesanti effetti collaterali della chemioterapia.
Perché affiancare alle terapie convenzionali altre cure ?
È importante sapere che la chemioterapia mandando in circolo delle sostanze fortemente citotossiche che distruggono sia le cellule malate che quelle sane, contribuisce a creare una situazione di immunosoppressione. Non a caso infatti i pazienti talvolta sono costretti a ritardare il ciclo di chemio successivo a causa dell'abbassamento improvviso dei globuli rossi e bianchi.
Di conseguenza il trattamento chemioterapico contribuisce ad indebolire il sistema immunitario del malato che è già debilitato dall'azione della malattia. Più precisamente, dopo una chemioterapia adiuvante leggera il sistema immunitario si può rigenerare già nell'arco di 6-8 settimane, mentre in seguito ad un trattamento standard, il recupero può durare molti mesi o addirittura anni. Anche l'operazione chirurgica, seppur necessaria, contribuisce allo stesso modo a creare una situazione di immunosoppressione.
Viceversa Il meccanismo d'azione della maggior parte delle terapie complementari o alternative è rappresentato dal tentativo di potenziare il sistema immunitario del malato. Perché il sistema immunitario è così importante ?
È bene sapere che esistono due tipi di immunità che consentono all'organismo di difendersi dagli attacchi batterici, virali e tumorali: l'immunità naturale aspecifica e quella specifica: nella prima i due capisaldi sono rappresentati dalle cellule Natural Killer (circa il 7% dei linfociti) che uccidono le cellule tumorali, e dai macrofagi (ogni giorno circa 100 milioni di macrofagi si immolano per difenderci da miriadi di aggressori) che svolgono una complessa attività di difesa in tutti i tessuti con produzione di citochine (interluchine, interferoni, etc...). La seconda, cioè l'immunità specifica consente di aggredire gli agenti estranei tramite il riconoscimento di speciali marcatori presenti sulla superficie di ogni cellula, cioè gli antigeni.
Pertanto il sistema immunitario rappresenta l'unico baluardo naturale a nostra disposizione per controllare la continua crescita di cellule tumorali che si sviluppano ogni giorno nel nostro organismo. Di conseguenza, il tentare di potenziare il sistema immunitario potrebbe rivelarsi importantissimo ai fini di controllare lo sviluppo del tumore.
In definitiva ci si trova paradossalmente dinanzi a due principi contrapposti: da un lato l'azione immunostimolante della terapie non ufficiali e dall'altro l'azione immunosoppressoria delle terapie citotossiche (chemioterapia) e radianti (radioterapia).
Purtroppo è difficile ipotizzare una "convivenza pacifica" tra due approcci così diversi. Molto spesso i sostenitori delle terapie convenzionali trovano fortemente limitativo ed inutile potenziare il sistema immunitario, così come i sostenitori delle terapie immunostimolanti trovano altrettanto limitativo ed inutile il meccanismo distruttivo delle terapie citotossiche. La verità assoluta purtroppo non appartiene a nessuno dei due approcci dal momento che nessuno dei due riesce sempre a curare efficacemente le neoplasie.
Probabilmente sarebbe auspicabile un approccio integrato, sinergico, anziché continuare a portare avanti una guerra aperta tra schieramenti dove chi ne fa le spese è sempre il malato.
Il buon senso comune farebbe pensare che affiancare alle terapie convenzionali un trattamento coadiuvante di tipo complementare, mirato a potenziare le difese naturali dell'organismo e a lenire i principali effetti collaterali della chemioterapia, potrebbe rivelarsi una possibilità terapeutica valida. Ma certamente quasi nessun oncologo ortodosso consiglierebbe mai ad un malato di affiancare alla terapia standard una terapia diversa, anche se solo con l'obiettivo di dare un sostegno all'organismo. Per quale motivo accade questo ?
Probabilmente i motivi sono molteplici. Innanzitutto, come abbiamo già avuto modo di precisare più volte, nessun oncologo ortodosso consiglierebbe mai una terapia che non è stata sperimentata secondo i criteri standard accettati universalmente, in secondo luogo, il consentire una terapia alternativa, anche se solamente con l'obiettivo di fornire un supporto, vorrebbe dire aggiungere una nuova variabile che potrebbe confondere i risultati.
Più precisamente l'azione antitumorale della terapia alternativa potrebbe aggiungersi a quella della terapia standard, con il risultato di inquinare i risultati. L'eventuale miglioramento sarebbe dovuto a quale dei due trattamenti ? Per un medico rigoroso sarebbe un problema non poter rispondere a questa domanda, mentre per un paziente il problema non sussisterebbe minimamente. Al paziente non importa nulla sapere se è stato l'effetto di una delle due cure o un effetto combinato di entrambe a consentire il miglioramento, l'importante è che ci sia stato.
Nel caso dell'ipertermia, ad esempio, ci sono medici che sostengono che "affiancandola" alla chemioterapia possa addirittura aumentarne l'efficacia, consentendo ai chemioterapici di permanere per più tempo all'interno dei vasi. Viceversa potrebbe anche accadere che l'azione di un farmaco possa vanificare l'azione dell'altro, rendendolo inefficace. Come facciamo a sapere quali trattamenti alternativi possono effettivamente "convivere" con quelli standard? L'unico modo per rispondere a questa domanda sarebbe quello di portare avanti una sperimentazione ufficiale che preveda l'utilizzo congiunto di più terapie. Ma la sperimentazioni costano molto e fino ad ora nessuno ha mai pensato alla necessità di uno sforzo in tal senso.
Purtroppo non rimane altro che "auto-attivarsi" cercando di intuire in altri modi la strada migliore da percorrere, facendo tesoro delle esperienze di altri pazienti o ascoltando i pareri di medici dalle vedute più ampie. Al riguardo la Società Tedesca di Oncologia e la Società per la Lotta Biologica ai Tumori, con sede in Germania, rappresentano un punto di riferimento internazionale nel panorama della medicina oncologica non convenzionale.
C'è anche un altro importante motivo per decidere di intraprendere una terapia complementare. Spesso, in seguito ad un intervento chirurgico o al termine di una serie di cicli di chemioterapia, il paziente viene puntualmente lasciato in un "vuoto terapeutico". Più precisamente al paziente dimesso, viene semplicemente ricordato di tornare successivamente per la TAC di controllo, con lo scopo di individuare eventuali riprese della malattia. Si rimane così in attesa, sperando che le terapie funzionino a sufficienza e che la malattia non riprenda il suo corso. È una situazione di stallo, di passività. Perché invece non prevedere un trattamento secondario basato su una riattivazione delle risorse naturali di difesa del malato e mirato a ridurre al minimo le possibilità di ripresa della malattia ?
Le terapie complementari di tipo biologico, nel senso più ampio del termine, possono servire proprio a mobilitare le risorse di autodifesa dell'organismo attraverso una riattivazione del sistema immunitario che, rigenerato e potenziato potrebbe ritrovare la capacità di combattere efficacemente il tumore.
Attivare in modo adeguato il sistema immunitario al fine di combattere efficacemente una malattia neoplastica è un processo molto complesso.
Somministrare uno dei tanti immunomodulatori (vischio, estratti del timo, etc.) che incrementi l'attività ed il numero delle cellule di difesa potrebbe essere insufficiente. Il metabolismo, la digestione, la circolazione, il sistema nervoso influiscono più o meno direttamente sul funzionamento del sistema immunitario. Le strategie da mettere in atto sono molteplici e volte a considerare l'organismo nel suo insieme. Più precisamente è bene sapere che il sistema immunitario dovrebbe riuscire a difendersi andando ad attaccare le cellule cancerose tramite l'aggressione dei Natural Killer e macrofagi, ma può accadere che le cellule cancerose riescano a rendersi invisibili, mimetizzandosi grazie ad un involucro proteico. A tale scopo uno specifico trattamento enzimatico sarebbe quanto mai opportuno. L'azione di determinati enzimi proteolitici (cioè che scompongono le proteine), come ad esempio la bromelina (contenuta nell'ananas) o la papaina (contenuta nella papaia), in grado di distruggere gli involucri proteici, renderebbe riconoscibili e attaccabili le cellule cancerose da parte dei linfociti.
Oltre il trattamento enzimatico devono essere tenuti in considerazione i livelli presenti di determinati oligoelementi e vitamine che possono influire direttamente sulla regolazione ed il funzionamento del sistema immunitario. Più precisamente le sostanze più importanti i cui livelli devono essere sempre mantenuti alti sono: il selenio, lo zinco, il rame ed il ferro e le vitamine A, E e C.
Per troppo tempo la medicina convenzionale si è occupata di "distruggere farmacologicamente" la malattia senza pensare a "ricostruire" l'organismo (compromesso dallo sviluppo della malattia e dagli effetti collaterali delle terapie convenzionali) inteso nella sua totalità.
In questa prospettiva si avverte l'esigenza di un approccio di tipo integrato, una terapia anticancro ad ampio spettro che preveda la possibilità far convivere due approcci terapeutici diversi: uno che combatte la malattia dall'esterno, cioè attraverso metodologie di tipo chirurgico - farmacologico, uno dall'interno, attraverso i sistemi di regolazione propri dell'organismo, limitando il più possibile le condizioni per la crescita del tumore.
Le terapie non ufficiali. Quali?
E' cosa nota che in nessuna struttura pubblica si fa informazione su terapie non riconosciute. Molti malati non ne conoscono neanche l'esistenza. Ipotizzando che la voglia di non arrendersi stimoli il malato (o i familiari) a intraprendere nuove possibilità terapeutiche, inevitabilmente ci si sente "soli" nella scelta. Oltre a dover fronteggiare una grave malattia ci si deve anche accollare il peso di scegliere una cura non riconosciuta. Ci si può facilmente immaginare lo stress che una situazione del genere può comportare per il malato e la famiglia. Le terapie non ufficiali sono centinaia, qualcuna più sconosciuta di altre, ma tutte ugualmente "non riconosciute". Come scegliere ?
Molte persone senza scrupoli con l'obiettivo di facili guadagni promettono cure miracolose e costosissime. Altri medici animati da tanta buona fede ma da tanta poca umiltà si convincono di aver trovato il rimedio assoluto a tutte le malattie. Impossibile dare un'indicazione se non quella di preferire terapie che abbiano una certa logica scientifica, di cui sia accertata la mancanza di tossicità, che siano proposte da medici (possibilmente oncologi), che non pretendano di essere esaustive e siano alla portata di tutti (a livello economico).
PARTE SECONDA
Le Terapie Complementari e Alternative:
Ora verranno presentate una serie di terapie non ufficiali. Come è stato già detto in precedenza, l'approfondimento di ognuno di questi verrà lasciato al paziente che quindi potrà decidere autonomamente quale percorso terapeutico intraprendere. Vorrei sottolineare ancora una volta che tale resoconto non può essere ritenuto completo ed esaustivo di tutte le possibilità terapeutiche di tipo complementare/alternativo esistenti. Ne sono state scelte una decina con criteri assolutamente personali con la comune caratteristica di possedere ragionevoli presupposti di validità e assenza di tossicità. La sincera speranza che la loro conoscenza possa rivelarsi utile almeno per qualcuno rappresenta il solo ed unico scopo di questa raccolta.
1. I trattamenti complementari di tipo ablativo.
Le metodiche ablative (così come l'ipertermia) dal momento che vengono praticate anche in strutture pubbliche, avrebbero dovuto essere menzionate all'interno dei trattamenti ufficiali. Tuttavia in questo resoconto sono state inserite tra le cure complementari in quanto ancora poco conosciute, poco valorizzate e poco utilizzate nella maggior parte degli ospedali italiani.
Le diverse tecniche ablative consentono di asportare il tumore provocando, attraverso il calore, una necrosi delle cellule maligne. Al contrario delle terapie sistemiche, che agiscono su tutto il corpo contemporaneamente, come ad esempio la chemioterapia, le metodiche ablative possono essere considerati trattamenti localizzati e specifici. Di conseguenza sono maggiormente indicate a scopo curativo per alcuni tumori non ancora avanzati e diffusi, soprattutto quando la chirurgia non può essere attuata. Per le neoplasie avanzate invece possono essere utilizzate, ma a scopo palliativo.
I tessuti tumorali più facilmente aggredibili dalle tecniche ablative sono quelli del polmone (tumori primari o secondari, cioè metastasi polmonari provenienti da altri tipi di tumore) e del fegato (tumori primari o secondari), ma le nuove sperimentazioni lasciano sperare anche in un futuro utilizzo per i tumori del rene, della prostata e per lenire il dolore nei casi di metastasi ossee.
a) L'ablazione a radiofrequenza (o radioablazione).
È una tecnica nella quale attraverso la cute si inserisce una sonda, dalla quale vengono fatti fuoriuscire degli elettrodi che emettono onde elettromagnetiche ad alta frequenza. Queste onde provocano un riscaldamento della parte irradiata, cosicché il tessuto tumorale viene necrotizzato per coagulazione, lasciando intatto il tessuto sano circostante. Il posizionamento degli elettrodi sul bersaglio viene controllato radiologicamente (ad esempio con la TAC). La tecnica consente di agire anche su metastasi plurime, benché di dimensioni non superiori a 3-4 cm di diametro l´una.
Rispetto ad un normale intervento chirurgico, l´eliminazione del tumore tramite ablazione è una pratica molto meno invasiva, richiede una breve convalescenza e può essere eseguita in anestesia locale. Inoltre può essere ripetuta più volte ed associata a chemioterapia. Una ricerca condotta all´università di Pisa e guidata dal Dr Riccardo Lencioni, su un centinaio di soggetti inoperabili chirurgicamente, ha dato risultati incoraggianti.
Oltre all´università di Pisa, l´ablazione a microonde viene praticata con successo in tanti altri ospedali italiani.
b) L´abalzione a microonde.
Rispetto alla classica ablazione a radiofrequenza è senz´altro più innovativa. Consente l´asportazione di grandi aree di tessuti molli (fegato e polmoni), fino a circa 8 cm in un´unica seduta. È indicata in tutti quei casi in cui non risulta possibile l´intervento chirurgico, è minimamente invasiva e dura circa 10 minuti. L´energia a microonde produce calore, generato attraverso la vibrazione delle molecole d´acqua, causando così la coagulazione dei tessuti tumorali e lasciando intatti i tessuti sani.
Un nuovo strumento ideato a questo scopo ha ricevuto da poco tempo la certificazione CE e soddisfa la Direttiva dell´Unione Europea per gli strumenti in campo clinico, ed è ora ritenuto il primo sistema di ablazione a microonde disponibile a livello mondiale. Il suo nome è Evident microwave ablation system.
In Italia, per ora sono pochi i centri ospedalieri che lo utilizzano.
2. L'ipertermia.
Recentemente l'ipertermia è entrata nel Prontuario Terapeutico Nazionale, codificata al numero 9985.2, quindi è una terapia riconosciuta dal sistema sanitario italiano. Tuttavia nell'ambito di questo resoconto è stata inserita, al pari delle tecniche ablative, tra le terapie non ufficiali, in quanto anche questa ancora poco conosciuta, poco valorizzata e poco utilizzata. Non sono molti, infatti, gli ospedali italiani che ne fanno uso e, nella maggior parte dei casi, senza nutrire troppe aspettative. Al contrario in Germania e Olanda esistono dei centri dove viene praticata con successo da tanti anni, spesso in associazione con le terapie convenzionali.
Per ipertermia si intende il riscaldamento controllato (per circa 1 ora) dei tessuti fino a 42-43° C, temperature in cui le cellule tumorali vanno incontro a morte. Per ottenere questo risultato esistono diverse tecniche, ma non tutte funzionano allo stesso modo, non tutte si dimostrano ugualmente efficaci. È necessario selezionare la tecnica più idonea a seconda del tipo di tumore, senza mai prescindere dalle condizioni generali del malato. Gli effetti collaterali sono minimi ed è ripetibile nel tempo. È generalmente indicata per tutti i tipi di tumori solidi (quindi non per i tumori del sangue).
Per ottenere l'innalzamento della temperatura vengono utilizzati campi elettromagnetici a radiofrequenza, focalizzati da apposite antenne, dette applicatori. La frequenza più utilizzata è di 13,56 MHz.
Oltre l'azione antitumorale diretta, l'ipertermia ha anche un'importante azione coadiuvante con le terapie convenzionali. Più precisamente la radioterapia in associazione con l'ipertermia induce un effetto radiosensibilizzante, con un incremento di efficacia di una volta e mezzo fino a tre volte rispetto alle sole radiazioni ionizzanti. L'interazione invece con la chemioterapia permette una maggiore penetrazione dei farmaci citotossici all'interno delle cellule grazie ad un aumento della permeabilità cellulare conseguente all'innalzamento della temperatura. In sostanza, potenziando gli effetti delle terapie convenzionali è possibile diminuire il dosaggio dei chemioterapici e delle radiazioni ionizzanti, diminuendo così i pesanti effetti collaterali. Inoltre l'innalzamento della temperatura corporea stimola anche il sistema immunitario attraverso la liberazione di sostanze immunoregolatrici, le citochine, che hanno un effetto protettivo per l'organismo. Uno dei massimi esperti mondiali di ipertermia, il Professor Paolo Pontiggia ematologo e oncologo all'Università di Pavia riferisce che il calore produce la rottura del Dna delle cellule tumorali. Più precisamente i vasi tumorali, privi dell'impalcatura muscolare, non consentono per mancanza di elasticità, quella vasodilatazione fisiologica che permette un'adeguata dissipazione del calore introdotto. In tal modo il calore rimarrebbe intrappolato nelle lesioni tumorali, provocandone la morte. Lo stesso professore sostiene che nel 30% dei casi il tumore regredisce, in un altro 30% si arresta temporaneamente, e in un 5% si guarisce.
Non è indicato ricorrere all'ipertermia solo nei casi in cui è presente un forte versamento pleurico, ascite e nei casi in cui l'organismo del malato è talmente debilitato da non consentire una normale risposta immunitaria.
3. Immunoterapia Biologica.
L'immunoterapia è una terapia riconosciuta e applicata in senso complementare alle terapie convenzionali, ma occupa un ruolo marginale nell'ambito delle terapie antitumorali ufficiali. Di conseguenza il suo reale utilizzo nella maggior parte delle strutture pubbliche italiane rimane molto limitato. Le modalità attraverso cui si può riuscire ad ottenere una attivazione immunitaria possono essere diverse, ma in tutti i casi, il principio che ne è alla base, cioè il potenziare le difese naturali dell'organismo, può rivelarsi di fondamentale importanza per i malati di tumore. L'attivazione di una risposta immunitaria, oltre ad agire in modo diretto verso la malattia, può servire da supporto per l'organismo debilitato e immunosoppresso sia dall'evoluzione del tumore che dagli effetti collaterali delle terapie convenzionali. Pertanto l'immunoterapia trova una sua collocazione logica sia come terapia anticancro che come terapia coadiuvante le terapie ufficiali. L'efficacia della risposta immunologica sarà proporzionale alle risorse che l'organismo ha ancora a disposizione per combattere. Ciò significa che quando la malattia è molto avanzata e l'organismo è troppo immunosoppresso da tanti cicli di chemioterapia, radioterapia o in seguito ad importanti interventi chirurgici, è molto difficile sperare in una attivazione immunitaria. Pertanto viene consigliato di intraprendere tali terapie immunologiche in concomitanza o addirittura in anticipo a quelle ufficiali. In alcuni tipi di tumori particolarmente aggressivi o in stadi avanzati, laddove la guarigione non può essere un obiettivo raggiungibile, le terapie immunologiche affiancate a quelle tradizionali, possono contribuire ad allungare la sopravvivenza e a migliorare la qualità di vita del paziente. In questo resoconto verranno mensionate 4 diverse fonti (tra pubbliche e private) che si occupano di Immunoterapia Oncologica.
1) Già nel 2004, presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, è sorta una nuova "divisione di immunoterapia Oncologica". Il programma di attività dell'Unità, nell'ambito della gestione complessiva del paziente oncologico, sia per quanto riguarda l'inquadramento diagnostico che la terapia, in aggiunta ai trattamenti chemioterapici convenzionali attualmente disponibili e di provata efficacia, prevede un forte impegno nella ricerca clinica. Il programma di attività è quindi finalizzato a rendere disponibile ai vari pazienti che afferiscono all'unità le più recenti terapie farmacologiche e immunologiche. A tale scopo sono già attivi diversi protocolli di terapia medica in collaborazione con le maggiori istituzioni oncologiche nazionali ed estere. Le nuove modalità di terapia biologica ed immunologica basate sulla caratterizzazione biomolecolare delle neoplasie di ciascun singolo paziente sono svolte al fine di personalizzare il più possibile l'intervento terapeutico.
2) Un medico oncologo di nome Giuseppe Zora, già nel 1975, controcorrente ed ostacolato da tutti, iniziò una serie di esperimenti in vitro ed in vivo sulle linee sperimentali immunologiche. Nel 1982 cominciò a distribuire il suo prodotto, un ibrido biologico innocuo, non tossico che permetteva un ampio spettro di modulazione immunologica. Da quella data, per circa dieci anni, il dr Zora è stato perseguitato a livello giudiziario. Poi dal 1992, il suo incubo è terminato, avendo registrato il suo prodotto (Adjuvant Plus) in Svizzera come specialità medicinale.
Decine di migliaia di pazienti in Italia e in tutta Europa lo utilizzano con ottimi risultati. L'azione del farmaco immunologico di tipo omeopatico - biologico "Adjuvant Plus" del Dr Zora svolge una duplice funzione: una azione antitumorale che si esplica attraverso l'attivazione del sistema immunitario del paziente ed un'azione di supporto mirata a limitare i danni immunosoppressivi dei farmaci chemioterapici. Quindi è particolarmente indicata come terapia adiuvante la chemioterapia. La terapia può essere anche associata alla multiterapia Di Bella. La terapia consiste in fiale intramuscolo, il cui dosaggio e somministrazione va personalizzata in base alle caratteristiche di ogni paziente.
3) La "Sinterapia" è un'attivazione immunologica personalizzata tramite il vaccino BCG. Questa terapia consiste in iniezioni intraepiteliali eseguite in tempi e diluzioni personalizzate in base alla reattività immunologica del paziente e monitorata con esami ematochimici e con visite cliniche. il vaccino BCG è il vaccino usato comunemente per prevenire la tubercolosi (bacillo di Calmette e Guerin) ed utilizzato insieme all'indoxen (indometacina, un antinfiammatorio) riesce a potenziare le difese naturali dell'organismo. Il paziente deve essere sottoposto a tali iniezioni prima e dopo ciascun ciclo di chemioterapia, radioterapia, ormonoterapia o intervento chirurgico. Attraverso un esame delle sottopopolazioni linfocitarie, che si può eseguire gratuitamente solo in alcuni centri specializzati, dietro prescrizione del medico curante, è possibile capire in anticipo se nell'organismo debilitato del paziente (dalla malattia e dalle terapie citotossiche) c'è ancora la possibilità di poter attivare una risposta immunitaria sufficiente per combattere il tumore.
4) Già nel 1921, Rudolf Steiner, filosofo e medico tedesco, individuò nel vischio un valido rimedio anticancro. Alla clinica Lukas Klinik in Svizzera, a partire dagli anni 80 i preparati a base di vischio sono stati sottoposti ad indagine scientifica classica. Il meccanismo d'azione è il seguente: il vischio contiene le lectine, sostanze che hanno la capacità di legarsi alle cellule tumorali e stimolare le cellule del sistema immunitario a distruggerle. In un articolo apparso sulla rivista "Oncology" del 1986 viene spiegato che già a ventiquattr'ore dalla somministrazione di vischio si evidenzia un aumento del numero e dell'attività dei linfociti natural killer, aumentano i livelli di fattori di necrosi tumorale, le interluchine e l'attività dei macrofagi.
4. SSM Vaccino di Maruyama.
Il vaccino S.S.M. di Maruyama (Specific Substance Maruyama) è un vaccino biologico (un estratto dai germi umani di tubercolosi), sotto forma di fiale, la cui azione si esplica inducendo una sorta di atrofizzazione o incapsulamento delle lesioni tumorali, attraverso una profonda produzione di fibre di collageno. In tal modo svolge un'azione di inibizione dello sviluppo e di proliferazione metastatica della malattia. La terapia ha origini giapponesi e viene utilizzata come terapia alternativa in giappone da più di trenta anni. Esiste un sito non ufficiale dalla traduzione non troppo chiara che spiega più dettagliatamente come funziona.
Le maggiori garanzie di efficacia da parte di questo vaccino provengono dalle testimonianze dirette dei pazienti. In particolare ho avuto modo di parlare personalmente al telefono con una donna italiana di 49 anni alla quale all'età di 20 anni avevano diagnosticato un osteosarcoma avanzato con metastasi polmonari con una prognosi di pochi mesi di vita. La donna non intraprese alcun trattamento convenzionale, bensì solo il vaccino di Maruyama. La donna, dopo 30 anni è ancora in ottima salute. Ha ancora le metastasi polmonari, ma risultano atrofizzate, non attive. I medici dell'ospedale italiano dove era stata seguita dissero che probabilmente avevano sbagliato diagnosi o che si era trattato di una guarigione miracolosa, ma in nessun modo ammisero la possibilità che il vaccino giapponese potesse aver funzionato.
5. La Terapia Di Bella.
La Multiterapia Di Bella (MDB) è probabilmente la cura alternativa ai tumori più conosciuta. Si prefigge di ridurre le dimensioni della neoplasia o di arrestarne o rallentarne la crescita e comunque in tutti i casi di migliorare la qualità di vita del paziente. Tutto questo senza ricorrere a trattamenti particolarmente aggressivi, tanto da essere ben tollerata nella maggior parte dei casi anche per lunghi periodi di tempo. L'efficacia della terapia può dipendere da numerosi fattori. Oltre alle variabili individuali di ogni malato, e il tipo di neoplasia, è importante che venga iniziata il più precocemente possibile e preferibilmente in assenza di altri trattamenti immunosoppressori (come la chemioterapia).
La terapia consiste di almeno quattro farmaci che devono essere assunti agli orari prescritti dal medico. In associazione a questi farmaci ne vengono talora aggiunti altri sulla base dell'origine della malattia e dell'eventuale presenza di metastasi o di altre complicanze. I quattro farmaci principali sono: uno sciroppo galenico a base di vitamina E e di vitamina A, la bromocriptina o altro farmaco analogo, la melatonina che deve essere rigorosamente coniugata con adenosina in percentuali ben precise e la somatostatina che può essere in alcuni casi sostituita da un suo analogo di sintesi. Lo scopo principale della terapia è quello di modificare l'ambiente intorno al cancro rendendoglielo ostile in maniera che esso non riesca a svilupparsi e arresti la propria crescita o addirittura muoia. Inoltre le cellule sane, stimolate da alcuni principi attivi della terapia, vanno invece incontro ad un potenziamento delle loro funzioni e diventano più forti ed in alcuni casi più aggressive nei confronti della malattia.
Nel 1998 è iniziata una sperimentazione ufficiale sulla terapia Di Bella voluta, a seguito delle manifestazioni popolari a favore di questo trattamento, dal Ministero della Sanità italiano. Dopo alcuni mesi tale sperimentazione è stata considerata fallita nel senso che gli organi competenti della medicina ufficiale, ai quali era stato delegato il compito di valutarne l'efficacia e l'attività, hanno affermato che la terapia Di Bella non è dotata di sufficiente attività antitumorale da giustificare un proseguimento della sperimentazione su altri pazienti. Cosa si intende per sufficiente attività antitumorale ? Se infatti si intende l'ottenimento di una risposta parziale, vale a dire una riduzione del 50% del tumore, è chiaro come essendo stati arruolati pazienti con patologia molto avanzata, fosse un obiettivo troppo difficile da raggiungere. Il fatto che taluni di questi pazienti abbiano comunque ottenuto una risposta minima non è stato tenuto per nulla in considerazione. Così come non è stato considerato che con molta probabilità quegli stessi pazienti avrebbero ottenuto risposte minime anche con le terapie convenzionali. In ogni caso non avendo ricevuto un risultato convincente e definitivo, la sperimentazione è stata sospesa e con questo evento è stato definitivamente messa la parola fine alla possibilità che la MDB potesse divenire ufficialmente una cura per il trattamento dei tumori al pari delle altre.
Giudicare l'efficacia della MDB rispetto a quella delle terapie ufficiali è impossibile. Forse è addirittura sbagliato porsi un quesito del genere, nel senso che per un certo tipo di tumore potrebbe risultare più efficace l'una dell'altra, ma per un altro tipo potrebbe accadere l'opposto.
Al di là dell'efficacia terapeutica una cosa è certa: la MDB ha rappresentato un approccio terapeutico alla cura dei tumori totalmente diverso dai precedenti, avendo il pregio di considerare la cura non più solo come un modo per sopravvivere più a lungo possibile, quanto nel modo migliore possibile. Una terapia non più impostata sul farmaco dall'azione devastante, in grado di distruggere tutto, quanto su un insieme di farmaci e vitamine ben calibrati che agiscono in sinergia e nel rispetto dell'organismo malato. La MDB infatti può essere eseguita a casa del paziente stesso grazie alla semplice collaborazione dei familiari e, per i soggetti autosufficienti, anche in perfetta autonomia, senza ricorrere all'aiuto di alcuno. È inoltre compatibile con una qualità di vita perfettamente normale tanto che sono molti i pazienti in età lavorativa che la praticano senza avere alcun disagio nello svolgimento della loro professione. In poche parole, con la terapia Di Bella, si realizza una "convivenza migliore con la malattia" dando la possibilità al paziente di combattere la sua battaglia in modo più dignitoso, senza essere gravato da pesanti effetti collaterali.
Le difficoltà di curarsi con la terapia Di Bella sono principalmente legate al fatto di non potersi curare all'interno di una struttura pubblica. Di conseguenza l'approvvigionamento di alcuni farmaci e i costi più o meno alti non ne consentono un ampio utilizzo.
6. Il metodo Pantellini.
L'ascorbato di potassio. Il metodo del Dott. Gianfranco Valsé Pantellini nacque da un caso fortuito, o per meglio dire, da un errore. Nel 1947, il Dott. Pantellini consigliò ad un malato di cancro inoperabile allo stomaco, con prognosi di pochi mesi di vita, di bere limonate con bicarbonato di sodio al fine di calmare i forti dolori. Dopo un anno, lo rivide perfettamente ristabilito (il paziente morì infatti d'infarto vent'anni più tardi). Al momento di esaminare le radiografie, pensò che si trattasse di quelle di un altro. Cos'era successo? Il paziente, per errore, non aveva usato il bicarbonato di sodio, ma quello di potassio. "Ebbi come una botta in testa", raccontò un giorno Pantellini. "Feci delle separazioni di limone ed esperidati dei vari acidi presenti e mi accordai con dei colleghi medici, per sperimentarli su alcuni malati di cancro, ormai in fase terminale, che volontariamente si offrirono di assumere, per via orale, citrato di potassio, tartrato di potassio ed esperidato di potassio: non ottenni purtroppo alcun effetto. Quando poi somministrai ai malati l'ascorbato (vitamina C) di potassio, conseguii i primi riscontri positivi". Proseguendo nella terapia, i malati di cancro presentavano apprezzabili miglioramenti, già nell'arco di 10-15 giorni. Il dolore scompariva, o quantomeno si attenuava, ed il paziente era in grado di riprendere la propria attività lavorativa. In alcuni soggetti, ancora oggi, a distanza di 40 anni, non risulta alcuna presenza del tumore. Pantellini proseguì le sue ricerche per quarant'anni, scoprendo che l'ascorbato di potassio trovava applicazione anche in alcune malattie degenerative ed autoimmuni. Continuò a tenere conferenze, partecipò a vari congressi di oncologia, pubblicò le sue scoperte su riviste mediche, curò con successo migliaia di persone. Risultato? Alcune denunce da parte dell'Ordine dei Medici (assolto), problemi a non finire, diffamazioni; ma l'aspetto più grave è che in tutti questi anni, Pantellini non è mai stato preso in considerazione dalla classe medica. Non viene confutato, semplicemente viene totalmente ignorato. Chi volete che abbia interesse a prescrivere l'ascorbato di potassio, un prodotto che costa poche decine di euro per un mese di terapia e che, oltre a tutto, non è brevettabile ? Di seguito viene riportato un discorso del Dr Pantellini fatto a 82 anni poco prima di morire:
"Nelle nostre cellule vi sono ogni attimo migliaia di reazioni chimiche
simultanee, compresa la lotta tra gli enzimi chiamati
superossidodismutasi ed i famosi radicali liberi detti i distruttori.
Nel caso in cui i radicali dovessero aumentare od il gene che costruisce
le SOD non funzionasse bene, entro 24 ore la cellula diventa
cancerogena. Da una quarantina d'anni ho scoperto l'efficacia di una
terapia antiossidante, che va in aiuto delle SOD, ed è l'Ascorbato di
Potassio. Questo, attraverso la ristrutturazione della pompa
sodio-potassio sulla membrana cellulare, penetra nella cellula non solo
riportandovi il potassio che viene espulso dalla degenerazione, ma
ricomponendo le catene dei messaggi genetici. La cellula, rimessa in
ordine, non viene più attaccata dal cancro. Questo prodotto è come un
integratore alimentare senza alcuna tossicità. I risultati clinici,
attestabili, dimostrano che in 17 pazienti su 20, la riduzione della
sintomatologia varia tra la completa guarigione e la regressione
variabile. Nel caso dell'angioma, l'ascorbato blocca l'azione
dell'ossigeno nelle cellule e ferma il processo. Anche il prof. Folkman
negli USA ha messo a punto un sistema per combattere questa
proliferazione di capillari, strangolandoli chimicamente con
angiostatina ed endostatina. È una via parallela, ma la mia agisce
dall'interno delle cellule come preventivo.
Il rimedio c'è, il problema è che non costa nulla!
In conclusione i risultati positivi, dove non ci sono tornaconti
economici, stranamente non vengono considerati, mentre la chemioterapia
distrugge l'organismo spesso prima del tumore.
La prevenzione dei tumori potrebbe essere per qualcuno, in termini
economici, un danno incalcolabile. Sempre più studiosi sono daccordo col
ginecologo tedesco Muller, secondo il quale il 70% dei nati morti, o
focomelici, è dovuto ai farmaci"
Alcuni ricercatori del NIDDK (National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases) in alcuni esperimenti sui topi hanno scoperto che alte concentrazioni di ascorbato di potassio erano associate ad effetti antitumorali nel 75% delle linee cellulari tumorali. Più precisamente è stata osservata una riduzione della crescita tumorale e del peso dei tumori del 41-53%. Tuttavia, tra il 1979 ed il 1985, studi clinici sull´uomo in cui veniva somministrata vitamina C, controllati con placebo ed in doppio cieco, non confermarono effetti benefici.
Ancora una volta ci si trova dinanzi alla situazione dove una qual certa sostanza che sembra possedere un forte effetto antitumorale non viene riconosciuta dalla medicina ufficiale.Una sperimentazione seria sull´ascorbato di potassio non è stata mai condotta e probabilmente non lo sarà mai. Senz´altro le sostanze utilizzate da questa terapia sono totalmente atossiche. Per di più la vitamina C anche se assunta in alte dosi non può causare effetti indesiderati in quanto la parte in eccesso, che non può essere assorbita, viene naturalmente eliminata dall´organismo. Tuttavia l´ascorbato di potassio, andando ad agire sulla pompa sodio/potassio, è bene che venga assunto con il controllo costante di un medico.
La terapia con ascorbato di potassio prevede di assumere giornalmente 0,15 gr di acido ascorbico (vitamina C) in cristalli puri.
7. C.R.A.P. (Complementare Riducente Antidegenerativa Puccio).
Nel maggio del 1999, dopo 12 anni di studi, un ricercatore siciliano, Giovanni Puccio, con l'aiuto di alcuni medici, mise a punto una cura anticancro di tipo naturale, basata sul ripristino dell'equilibrio cellulare a livello acido/basico tramite delle sostanze ossido/riducenti.
Più precisamente la terapia antiossidante di Puccio si propone di riequilibrare il rapporto redox-omeostatico cellulare con l'intento di bloccare la formazione degli dei radicali liberi che sono all'origine del processo degenerativo del tumore.
Le ricerche di Puccio hanno portato a concludere che il cancro sia una conseguenza di un processo patologico che inizia molti anni prima all'interno dell'organismo e che si manifesta con un forte squilibrio elettrochimico, blocco delle pompe sodio/potassio e calcio/magnesio, abbassamento del potenziale di membrana, abbattimento del sistema immunitario e acidosi metabolica.
La terapia è in realtà una multiterapia, basata sull'attenta somministrazione di diverse sostanze. L'elemento principale è il GSH ovvero il "Glutatione ridotto" che esplica alcune funzioni fondamentali a livello cellulare.
Oltre al GSH la terapia prevede l'assunzione di acido ascorbico (vitamina C), bicarbonato di potassio (vedi Metodo Pantellini), selenio, coenzima Q10, vitamina E, licopene, betacarotene, aminoacidi essenziali (fosforo, magnesio, calcio, potassio, etc.) oligoelementi ed enzimi regolatrici e acetilcisteina, oltre ad una particolare alimentazione energetica.
Al termine del riequilibrio del rapporto redox-omeostatico che si raggiunge entro tre mesi circa, si attiverebbero naturalmente i linfociti NK natural Killer in un tempo stimato dai 4 ai 6 mesi. La riuscita del trattamento sembrerebbe legata allo status del substrato biologico del paziente, che spesso viene fortemente compromesso in seguito alle terapie citotossiche (chemioterapia). Al termine della remissione della patologia è prevista una terapia di mantenimento.
La complessità della terapia complementare riducente antidegenerativa di Puccio comporta che venga eseguita sotto osservazione medica, in quanto prevede un attento e continuo monitoraggio di diversi parametri, come il sottoporsi ad esami ematochimici ogni 10/15 giorni ed un esame dello stress ossidativo completo (che viene eseguito esclusivamente presso l' IDI di Roma).
Recentemente, ad un convegno tenutosi a Palermo presso l'Hotel President in data 08/05/2006, un giudice di pace ha parlato in modo favorevole circa l'efficacia della terapia, ed è stato riportato un caso di guarigione sconcertante su un cancro al fegato del padre della Top Model Eva Riccobono.
La terapia, chiamata anche vaccino terapeutico E.M.M.A.NU.ELE., è stata anche sperimentata ufficialmente negli anni successivi in 5 paesi stranieri. Purtroppo non siamo venuti a conoscenza dei risultati di questa sperimentazione, ma per saperne di più è possibile contattare l'Associazione per la Ricerca Scientifica Palermo.
Da alcuni dati rilasciati dal Ministero della Salute e pubblicati sul Giornale di Sicilia del 03/06/2008 a pag. 7, si è potuto constatare che la Sicilia registra il 15% di decessi in meno per tumore rispetto alla media nazionale nonostante il consumo dei farmaci antitumorali sia il 6% in meno. Questi dati potrebbero far pensare ad una reale efficacia della terapia che essendo abbastanza conosciuta in Sicilia, viene utilizzata quasi esclusivamente in questa regione.
8. La graviola (annona muricata).
L'annona Muricata, comunemente chiamata "Graviola", è una pianta della foresta amazzonica che sembrerebbe possedere delle importanti proprietà antitumorali. L'uso del condizionale è d'obbligo, in quanto, malgrado diversi studi di laboratorio abbiano evidenziato tali proprietà, non è mai stato condotto uno studio sugli esseri umani che ne comprovasse l'efficacia.
Di seguito viene riportato uno dei tanti testi che si trovano su internet sull'argomento: "Da oggi il futuro del trattamento del cancro e le possibilità di sopravvivenza sembrano molto più promettenti che mai. Il merito va ad una pianta che cresce in Amazzonia, nelle foreste pluviali del sud America: la GRAVIOLA (annona muricata). Molto probabilmente fra non molto tempo potremo cambiare opinione sulle possibilità di sconfiggere il cancro. Dagli estratti di questa potente pianta potrà essere possibile:
* Sconfiggere il cancro in tutta sicurezza con una terapia completamente
..naturale che non provoca nausea, perdita di peso e di capelli.
* Proteggere il sistema immunitario ed evitare infezioni fatali.
* Sentirsi più forti e sani durante tutto il corso del trattamento.
* Aumentare la propria energia e migliorare l'aspettativa di vita.
Una grande e conosciuta industria farmaceutica statunitense per più di sette anni ha studiato e testato in laboratorio le proprietà della graviola. Non essendo riuscita a isolare e duplicare in una formula chimica brevettabile i due più potenti componenti della pianta e quindi non potendo trarre grandi profitti dalla vendita di un farmaco, l'azienda ha abbandonato il progetto evitando di rendere pubblico il risultato della ricerca. Siccome per legge non si possono brevettare le sostanze naturali (giustamente, la natura appartiene a tutti, non se ne possono brevettare le meraviglie), uno studio clinico che comporta investimenti per centinaia di migliaia o addirittura milioni di dollari deve avere poi un suo ritorno economico dalla vendita dei prodotti; nessuna casa farmaceutica condurrà mai degli studi su sostanze che poi chiunque potrebbe coltivare o raccogliere per preparare il proprio rimedio personale. Fortunatamente uno dei ricercatori di quella compagnia, pur condividendone gli obiettivi di profitto, non poteva accettare la decisione di nascondere al mondo questo unico killer del cancro.
Fu così che ascoltando la sua coscienza e rischiando la carriera decise di contattare e informare la Raintree Nutrition, una compagnia statunitense che si dedica alla ricerca, al raccolto e alla riforestazione di piante ed erbe nell'Amazzonia. La sua presidente è riuscita a guarire da una rara forma di leucemia proprio grazie alle piante della foresta pluviale.
Durante le sue ricerche la Raintree Nutrution ha scoperto che anche il NATIONAL CANCER INSTITUTE (NCI) nel 1976 aveva già verificato che gli estratti di questa pianta erano in grado di attaccare e distruggere le cellule maligne del cancro. Questo studio era però stato archiviato come un rapporto interno e mai reso pubblico.
Nonostante queste proprietà siano state scoperte già nel 1976, non è mai stato condotto uno studio su esseri umani, quindi nessuna sperimentazione a doppio cieco e altri test per verificare il valore del trattamento tale da essere pubblicato sulle riviste mediche e quindi universalmente accettato come terapia. In ogni caso, la graviola ha dimostrato di poter distruggere le cellule del cancro in altri 20 studi di laboratorio. Il più recente, condotto dalla Catholic University of South Corea agli inizi del 2001, ha rivelato che due composti estratti dai semi della graviola hanno mostrato una "citotossicità selettiva comparabile all'Adramycin" (un farmaco comunemente usato nella chemioterapia) per le cellule del cancro al colon e al seno, lasciando contemporaneamente intatte le cellule sane, al contrario di quello che si verifica con la chemioterapia.
In un altro studio, pubblicato sul Journal of Natural Products, ha dimostrato che la graviola non è solo confrontabile con l'Adriamicina, ma la supera clamorosamente negli studi di laboratorio. Un composto della pianta ha distrutto selettivamente le cellule cancerose del colon con una potenza 10.000 (diecimila!) volte superiore a quella dell'Adriamicina.
Anche i ricercatori della Purdue University hanno riscontrato che gli estratti delle foglie di graviola hanno eliminato le cellule del cancro in almeno sei tipi di tumore e sono state particolarmente efficaci contro le cellule del cancro alla prostata e del pancreas (!). Secondo un altro studio, sempre della Purdue University, estratti di questa pianta hanno isolato e distrutto le cellule del cancro al polmone.
Quindi, le domande più ovvie saranno: perché sono stati condotti solo studi di laboratorio e non sono state diffuse notizie così incoraggianti? Per il motivo già accennato all'inizio: non essendoci la possibilità di profitti derivanti dalla vendita di un brevetto di un medicinale chimico, nessuna compagnia farmaceutica investirà enormi risorse finanziarie per uno studio appropriato. Purtroppo questa è una realtà comune a gran parte delle terapie naturali. Incoraggiata da questi test di laboratorio, la Rain Tree Nutrition ha condotto ulteriori ricerche, anche con l'aiuto delle tribù dell'Amazzonia, per raccogliere e far riprodurre questa pianta. Oltre ad aver reso disponibile un preparato contenente la sola graviola, questa azienda ha sviluppato un prodotto chiamato N-TENSE che contiene il 50% di graviola ed il restante 50% una miscela di sei erbe con riconosciute proprietà anticancro: Bitter melon (Mormodica charantia), Esphinheira Santa (Maytenus illicifolia), Mullaca (Physalis angulata), Vassourinha (Scoparia dulcis), Mutamba (Guazuma ulmifolia), Cat's Claw - Unghia di gatto (Uncaria tomentosa).
Purtroppo finora sono stati pochi i medici e pazienti negli USA (pochissimi in Europa) che hanno usato la graviola o il composto messo a punto dalla Rain Tree Nutrition per combattere il cancro. In ogni caso, secondo le testimonianze pervenute alla Rain Tree Nutrition e al distributore italiano, i primi risultati sembrano particolarmente incoraggianti.
Mentre la gran parte delle ricerche sulla graviola sono focalizate sulle sue capacità anticancro, la pianta è usata da secoli dalla medicina popolare del Sud America per trattare un sorprendente numero di disturbi fra i quali: ansia, ipertensione, influenza, tigna, scorbuto, malaria, eruzioni cutanee, nevralgia, dissenteria, artriti e reumatismi, palpitazioni, nervosismo, insonnia, diarrea, febbre, nausea, foruncoli, dispepsia, spasmi muscolari, ulcera.
Non ci sono dubbi che un ammalato di cancro dovrebbe poter conoscere tutte le opzioni di trattamento disponibili. La graviola potrebbe fornire l'aiuto necessario e forse determinante per sconfiggere la malattia, oltretutto, essendone stata riscontrata l'assoluta assenza di tossicità, senza sopportare i pesanti effetti collaterali provocati dai vari trattamenti farmacologici."
Leggendo questi testi si rimane senza parole. Ma è davvero possibile che una sostanza che potrebbe possedere delle proprietà antitumorali così forti non venga adeguatamente testata in una sperimentazione clinica per mancanza di interessi economici ? A pensarci bene è comprensibile che non ci sia una casa farmaceutica disposta a investire tanti soldi su un prodotto non brevettabile, in quanto per un'azienda privata ogni investimento economico importante deve comportare un relativo ritorno economico. Tuttavia la salute non dovrebbe essere considerato un bene privato. È possibile che la "salute pubblica" resti indifferente di fronte ad una possibilità di questo tipo ? Ovviamente qualsiasi malato oncologico troverebbe enorme difficoltà ad accettare l'idea di assumere una sostanza non adeguatamente testata, in quanto non sufficientemente rassicurato sull'efficacia né sugli eventuali effetti collaterali.
Questa è l'unica terapia citata in questa raccolta non testata sull'uomo, per la quale non è possibile garantire l'assenza di tossicità.
9. ESSIAC. La formula di Renè Caisse.
L'essiac è una miscela di erbe con la quale l'infermiera Renè Caisse cominciò a curare i malati di tumore, intorno agli anni 30 in Canada. La ricetta originale apparteneva ad un medico indiano, ma la Caisse ne venne a conoscenza da una signora guarita da un cancro al seno dallo stesso medico indiano. Dopo averla provata su sua zia, malata terminale di cancro allo stomaco, la quale incredibilmente guarì, la Caisse cominciò a curare con successo moltissimi malati con la collaborazione dei migliori medici di Toronto. Tuttavia la medicina ufficiale non fece altro che ostacolare puntualmente ogni tentativo della Caisse di "legalizzare" la sua cura, pretendendo che svelasse la formula della tisana. Per paura di speculazioni, la Caisse si rifiutò sempre (rifiutando anche un compenso di 1 milione di dollari da una casa farmaceutica) e continuò in semi-clandestinità a curare i malati senza alcuna retribuzione. Queste le testimonianze di alcuni illustri medici sull'efficacia della tisana:
"ho potuto constatare che nella maggior parte dei casi le deformazioni scomparivano, i pazienti denunciavano una forte diminuzione dei dolori. In casi serissimi di cancro ho visto interrompersi le emorragie più gravi. Ulcere aperte alle labbra ed al seno rispondevano alle cure. Ho visto scomparire cancri alla vescica, al retto, al collo dell'utero e allo stomaco. Posso testimoniare che la bevanda riporta la salute nel malato, distruggendo il tumore restituendo la voglia di vivere e le funzioni normali degli organi" - Dottor Benjamin Lesile Guyatt, responsabile del dipartimento di anatomia dell'università di Toronto.
E ancora..."ero venuta abbastanza scettica, ed ero risoluta a rimanere solo 24 ore. Sono rimasta 24 giorni ed ho potuto assistere a miglioramenti incredibili su malati terminali senza più speranza e malati diagnosticati terminali, guarire. Ho esaminato i risultati ottenuti su 400 pazienti" - la Dott..ssa Emma Carlson arrivata dalla California.
Durante il processo in cui la si accusava di curare senza legittimità tramite una cura non testata, ben 387 ex pazienti accettarono di testimoniare in suo favore, oltre a numerosi medici. Tutte queste persone si dichiararono convinte di essere state guarite dall'infermiera dopo essere stati definiti "senza speranza" dai medici dell'ospedale di Bracebrigde di Toronto. Il risultato del processo, fu che la tisana non era una cura per il cancro e che se non avesse svelato la formula avrebbero impedito alla Caisse di continuare le sue cure e avrebbero chiuso la sua clinica. In realtà durante il processo fu permesso di testimoniare solo ad una piccola parte di ex pazienti e una parte di medici che avevano promesso di sostenerla, ritrattarono, riconoscendo la possibilità di essere caduti in errore. Nonostante tutto la Caisse continuò a curare i suoi malati fino a all'età di 89 anni, tra mille disavventure. Un anno dopo , morì. Al funerale dell'infermiera parteciparono diverse centinaia di persone. In altri esperimenti mal condotti e non seguiti dalla Caisse la sua tisana fu giudicata atossica ma inefficace. Fino a quando nel 1984 una giornalista radiofonica fece un'intervista al Dr Brush, un rispettato medico che aveva collaborato con la Caisse negli ultimi anni prima della sua morte. Dall'intervista, seguita da un numero incredibile di persone, emerse che la tisana poteva essere ritenuta una cura per il cancro. Più precisamente il Dr Brush disse: "ho potuto constatare che la bevanda può far regredire il cancro ad un punto tale che nessuna conoscenza medica attuale è in grado di raggiungere". In altri programmi radiofonici altri medici confermarono quanto sostenuto dal Dr Brush ed ormai l'opinione pubblica si era completamente spostata a favore della Caisse. Nonostante tutto la strada legale si dimostrava ancora tortuosa, pertanto alla giornalista venne in mente di smetterla di tentare di combattere contro le istituzioni per far riconoscere la tisana come una cura per il cancro. Si sarebbe venduta come una tisana innocua ed atossica. In questo modo chiunque avrebbe potuto continuare a curarsi senza alcuna difficoltà, trovando la tisana anche nelle erboristerie. Grazie a questa intuizione oggi la tisana "Essiac" viene regolarmente venduta in tutto il mondo come fosse un thè.
Oggi conosciamo l'esatta formulazione della tisana che comprende ben 4 erbe miscelate nella giusta proporzione: Rumex Acetosella, Arctium Lappa, Ulmus Rubra, Rheum Palmatum. La Rumex Acetosella ha ottime proprietà depurative per le cellule, contiene tutte le vitamine e sali minerali e sostanze immunomodulatrici. L'Arctium Lappa è la radice di bardana. È ricca di vitamine, sali minerali, favorisce il metabolismo degli zuccheri ed è immunomodulante. Inoltre è depurativa per fegato, polmoni e reni. Il Rheum Palmatum è la radice di rabarbaro. Ha la proprietà di rimuovere la sostanza viscosa che circonda le cellule tumorali, permettendo in tal modo il passaggio dei principi attivi delle erbe. L'Ulmus Rubra deriva dalla corteccia dell'olmo. Ha proprietà protettive per i tessuti degli organi ed un ottimo antinfiammatorio. Già prima della morte della Caisse, la tisana fu completata da altre tre erbe aventi un'azione inibente sul cancro: foglie di Plantago Mayor, fiori di Trifolium pratensis e bacche di Xanthollium Fraxiensu.
10. La cartilagine di squalo.
La cartilagine di squalo è una sostanza naturale, atossica nota più per le sue proprietà antinfiammatorie e come rimedio contro l'artrite, la psoriasi e la degenerazione maculare che per le sue qualità come anticancro.
A tal fine il miglior effetto che sembra possedere la cartilagine di squalo è legato alle sue proprietà antiangiogeniche. Più precisamente nella cartilagine dello squalo sarebbero presenti ben tre proteine capaci di inibire l'angiogenesi, cioè la vascolarizzazione. Inibendo la crescita di nuovi vasi sanguigni il tumore non può più svilupparsi e la diffusione metastatica può essere rallentata o addirittura interrotta, e il tumore può andare incontro a necrosi.
Nel libro di William Lane e Linda Comac "Gli squali non si ammalano di cancro", gli autori descrivono le ricerche condotte per più di vent'anni sulla cartilagine di squalo e riportano alcuni casi clinici trattati con successo in Messico. Per la verità i dati riportati su questi casi clinici appaiono abbastanza frammentari e incompleti e condotti su un campione molto esiguo (solo 8 soggetti); tuttavia dalla lettura di questo libro si rimane sufficientemente colpiti e propensi a ipotizzare una qual certa efficacia di questa sostanza. Più dettagliatamente da tali studi risulta che in 7 pazienti su 8, considerati in stadio terminale, la sola assunzione di cartilagine di squalo abbia dato origine a regressioni delle masse tumorali comprese fra il 30 e il 100%. Dalle esperienze avute da Lane, sembra che la cartilagine, per non rischiare di perdere le sue preziose proprietà, deve essere la più pura possibile. Innanzitutto per non perdere la sua efficacia deve essere polverizzata molto finemente. In questo modo può venir assorbita rapidamente dall'organismo, prima che la proteina venga digerita dagli enzimi proteolitici, il che vanificherebbe la sua potenzialità antiangiogenica. Anche le procedure di essiccazione e di sterilizzazione sono importanti. Infatti l'eccessivo calore, i solventi o talune sostanze chimiche possono denaturare le proteine della cartilagine, rendendola inefficace. L'autore del libro suggerisce pertanto di acquistare solo cartilagine di altissima qualità. Le modalità di somministrazione e i dosaggi sono altrettanto importanti ai fini dell'efficacia. Secondo Lane la somministrazione può essere fatta sotto forma di enteroclisma o anche per via orale, miscelando la polvere di cartilagine ad un succo di frutta. L'odore della cartilagine è infatti molto forte ed è indispensabile mescolarla a qualcos'altro tenendo conto che il dosaggio deve essere altissimo. Per i tumori al III e IV stadio infatti si deve assumere 1 gr di cartilagine per ogni kg di peso al giorno, il che vuol dire dover assumere circa 60 gr di polvere di cartilagine (l'equivalente di quasi 90 capsule al giorno). Dato l'elevatissimo dosaggio anche il costo cresce vertiginosamente. L'unico vantaggio di questa terapia è che la sua efficacia può essere valutata già dopo circa due o tre mesi. Pertanto una TAC di controllo a 70/90 giorni dall'inizio dell'assunzione può far capire se si è sulla strada giusta oppure no. La scarsezza numerica dei dati clinici riportati sul libro e la non completezza dei risultati non consente di poter garantire l'esito del trattamento, senza contare che l'unica sperimentazione ufficiale fatta (fra l'altro su appena 30 soggetti) ha dato dei risultati poco chiari: nel 30% dei soggetti la malattia si è stabilizzata per circa tre mesi. Alcune case farmaceutiche viste le proprietà della cartilagine riscontrate in vitro e sugli animali, hanno tentato di sintetizzarne un derivato, chiamato Neovastat AE - 941 ma i risultati non hanno soddisfatto le aspettative. Le ragioni date da alcuni studiosi è che taluni processi chimici indispensabili per ottenere il derivato, andrebbero a denaturare le proteine della cartilagine, rendendola totalmente inefficace.
In conclusione, alla luce delle ricerche fatte e dei risultati ottenuti è possibile affermare che la cartilagine di squalo è certamente una sostanza atossica (anche se assunta in dosi elevate) dotata di importanti proprietà antinfiammatorie e antiangiogeniche riscontrate in vitro e su animali per la cura dei tumori e utile nella cura di altre malattie come l'artrite e la psoriasi. Tuttavia si avverte la necessità di studi più approfonditi e sperimentazioni serie condotte da importanti case farmaceutiche che dimostrino inequivocabilmente l'efficacia della cartilagine di squalo nel trattamento delle neoplasie maligne.
Nell'ampio panorama delle terapie anticancro anche la fitoterapia e l'omeopatia possono essere considerate due discipline importanti che si pongono l'obiettivo di aumentare e migliorare la qualità della vita del paziente attraverso una diminuzione dei dolori e una migliore gestione degli effetti collaterali delle terapie convenzionali. In questa prospettiva tali discipline predispongono al meglio l'organismo, inteso nella sua totalità, tramite una modalità lenta e "dolce", verso la guarigione.
Tuttavia la difficoltà di identificare delle terapie specifiche all'interno del complesso e variegato mondo della fitoterapia e della omeopatia, non ci consente di fornire particolari indicazioni e si rimandano gli interessati ad approfondimenti personali .
11. Alcaloidi e chemioterapia antitumorale
È sin dagli anni '40 che gli alcaloidi vegetali sono stati oggetto di intenso studio per trovarne un'applicazione nella terapia dei tumori. Sicuramente il primo a trovare impiego come tale è stata la colchicina, isolata dalla "freddolina" (Colchicum autumnale). Questo alcaloide impedisce la polimerizzazione delle strutture cellulari chiamate "microtubuli" e ha come bersaglio proprio la proteina principale che li costituisce, la tubulina. Tuttavia è molto tossica e il suo impiego nella terapia dei tumori è oggi del tutto abbandonato.
Un'altra classe di alcaloidi è stata introdotta dopo la colchicina per la terapia dei tumori. Si tratta di alcuni alcaloidi isolati dalla Vinca rosea (o Catharanteus roseus) e risultati efficaci nella grande maggioranza dei tumori solidi umani, incluse alcune forme di leucemia/linfoma. Si tratta della vinblastina e della vincristina. Il loro meccanismo molecolare è anch'esso quello di interferire con la dinamica dei microtubuli, in modo simile alla colchicina. Sono tuttavia dotate, tra i loro effetti collaterali, di una spiccata tossicità per le strutture nervose e in particolare per quelle periferiche. Anche per tale ragione sono stati sintetizzati derivati meno tossici, come la vinorelbina e la vinflunina.
Uno dei loro effetti collaterali più precoci sono infatti le nevriti e le neuropatie che comprendono parestesie, pallestesie, dolori di tipo folgorante e difetti trofici. La ragione di questi effetti risiede nella loro stessa base d'azione: interferendo con i microtubuli delle strutture nervose, impediscono il trasporto di proteine essenziali e di alcuni nutrienti a livello periferico. Da questo deriva la sofferenza nervosa. Un buon metodo per tamponare questo effetto è la buona idratazione del paziente e la supplementazione con vitamine del gruppo B, tutte con azione benefica sul trofismo dei nervi periferici.
Un'altra classe di alcalodi impiegata correntemente nella chemioterapia è quella dei "taxani", alcaloidi isolati dal Taxus canadensis e risultati molto attivi in diversi carcinomi e sarcomi umani, mentre il loro impiego nelle emopatie maligne è nullo. Il loro meccanismo d'azione è esattamente opposto a quello della colchicina: invece di impedire la costruzione dei microtubuli, impediscono il loro disassemblamento per ricreare nuove strutture microtubulari (effetto di "congelamento" strutturale). Il primo ad essere sperimentato fu il paclitaxel; sono stati sintetizzati tuttavia derivati con minore tossicità e maggiore biodisponibilità, come il docetaxel.
Un ultimo gruppo che è entrato recentemente nella fase di sperimentazione clinica sono gli alcalodi isolati dalla Camptotheca acuminata. Il prototipo è la camptotecina, che ha come bersaglio non direttamente il DNA, ma un enzima nucleare deputato alla stabilizzazione dell'intero genoma, la topoisomerasi. È risultata attiva contro molte forme di tumore solido e sono stati sintetizzati anche dei suoi derivati leggermente più efficaci e contemporaneamente meno tossici. Tre di questi sono la 9-nitro-camptotecina, il TPT o Topotecano, il CPT-11 o Irinotecano e l'Edotecarin.
Negli anni '80 sono stati studiati più di una trentina di alcaloidi provenienti da varie fonti vegetali. Alcuni di essi sono risultati estremamente efficaci nell'eliminazione di tumori e leucemie indotte in modelli animali. La loro tossicità sistemica tuttavia è risultata ancora troppo elevata per permetterne l'introduzione nella terapia umana. Tra essi i più efficaci sono risultati:
le acronicine (dall' Acronychia baueri)
la talicarpina (dal Thalictrum dasycarpum)
la tetrandrina (dalla Stephania tetrandra)
la cefarantina (dalla Stephania cepharanta)
la ruteacarpina (dalla Evodia ruteacarpa)
la ellipticina (dalla Derria elliptica)
Quest'ultima molecola ha suscitato negli ultimi 5 anni un intenso interesse nel campo dell'oncologia. Il suo 9-idrossiderivato infatti può legare alcune forme mutate (inattive) del famoso oncosoppressore p53 (responsabile della comparsa di tumori solidi) e ripristinarne la funzione corretta. Sono in corso studi di laboratorio per capire il meccanismo con cui questa molecola possa interferire con la progressione tumorale attraverso la manipolazione della proteina p53. Anche per quanto riguarda le acronicine, un loro derivato (S 23906) è attualmente in fase II di sperimentazione (trials clinici) perché risultato molto promettente.
Conclusioni.
Si è cercato di scrivere questo resoconto con il sincero desiderio di poter offrire uno spunto di riflessione sulle varie possibilità terapeutiche esistenti per la cura del cancro.
Più precisamente si è cercato di analizzare i traguardi raggiunti e al tempo stesso i limiti delle terapie convenzionali e di ipotizzare la possibilità (e/o la necessità) di intraprendere anche percorsi "diversi" .
Optare verso una scelta "diversa" è sempre una scelta coraggiosa, mai facile, ma in certi casi assolutamente necessaria al fine di non lasciare nulla d'intentato, soprattutto per i casi con prognosi peggiore.
Nella maggior parte dei casi l'abbandonare le terapie ufficiali può essere sconsigliabile, ma affiancare ad esse delle cure coadiuvanti di supporto, mirate a potenziare le difese naturali dell'organismo e a sopportare meglio gli effetti collaterali dei trattamenti convenzionali, può rivelarsi una strategia terapeutica possibile e valida.
In questa prospettiva, più che di terapie alternative, è più corretto parlare di terapie complementari, intese come completamento delle cure ufficiali, con le quali ci si prefigge di prolungare l'aspettativa di vita migliorandone la qualità.
Con umiltà e profondo rispetto per le terapie convenzionali, ma allo stesso tempo con determinazione, si è parlato anche della possibilità di intraprendere terapie di tipo complementare, in sostituzione ed eventale integrazione, a quelle ufficiali, consapevoli che la "verità assoluta" sulla cura dei tumori purtroppo ancora non la possiede nessuno.
Nel mondo esistono centinaia di migliaia di persone che hanno tratto giovamento dalle terapie convenzionali e forse solo qualche migliaio o decina di migliaia che ha tratto giovamento dalle terapie complementari e alternative. La discrepanza è ovviamente dovuta all'enorme differenza numerica di pazienti trattati convenzionalmente rispetto agli altri. Forse un giorno potremmo affermare con maggiore certezza se e quando ricorrere a terapie diverse.
Per ora ci limitiamo a "sospettare" che anche poche decine di migliaia di persone sia un numero sufficiente per credere che non esiste una sola strada per combattere il cancro. Il numero di pazienti che ricorre a terapie complementari o alternative cresce di anno in anno e la nostra speranza è che nel prossimo futuro la medicina ufficiale possa finalmente dimostrarsi più aperta verso di esse.
Cominciare ad abbandonare lo scetticismo e a considerare la possibile efficacia di nuove metodiche significherebbe ampliare le possibilità di cura e combattere il cancro avendo più armi a disposizione.
Purtroppo ora la realtà è ben altra. I pazienti più sfortunati, colpiti da una malattia avanzata che non lascia speranze non possono far altro che rassegnarsi al loro destino oppure trovare il coraggio dentro di se per scegliere altre possibilità.
Non c'è mai a priori una scelta giusta o sbagliata, l'importante è che sia la più libera possibile dal pregiudizio, frutto di un percorso conoscitivo personale e di una riflessione coraggiosa sulla propria malattia. In questo senso, qualunque sia la scelta sarà sempre la scelta più giusta.
N.B: Resta evidente che questa dispensa non intende in nessun modo fornire conoscenze per sostituirsi ai medici specialisti in oncologia e che pertanto le indicazioni riportate non hanno finalità o valore di prescrizione medica, ma vanno intese come un contributo a carattere informativo per i naturopati ai quali frequentemente si chiedono notizie in merito.
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