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Le terapie ufficiali

 La scienza è continuamente alla ricerca di nuove soluzioni per combattere questa malattia su cui tanto si studia da tantissimi anni ma che ancora rimane in parte abbastanza sconosciuta. È infatti ancora poco chiaro cos'è che scatena la crescita incontrollata delle cellule maligne e i meccanismi che consentono al tumore di progredire nonostante i tentativi di fermarlo. A dispetto degli sforzi della medicina purtroppo ancora si muore di tumore.
Le campagne di prevenzione basate sull'indicazione di alcuni comportamenti a rischio (cattiva alimentazione, fumo, etc...) riducono in minima parte le possibilità di ammalarsi. Alcune analisi cliniche di controllo periodico danno la possibilità di diagnosi più precoci (mammografia, PSA), il che consente di scoprire alcune forme di tumore allo stadio iniziale, con buone possibilità di guarigione.

Ma l'incidenza è in aumento. Ci si ammala di più rispetto ad alcuni decenni fà. Le cause sono probabilmente molteplici e ancora in parte sconosciute.

Le terapie ufficiali per la cura dei tumori negli ultimi anni si stanno ampliando. Alla chirurgia, che rappresenta senza ombra di dubbio l'arma più efficace per la maggior parte dei tumori non avanzati che colpiscono gli organi, si affiancano da diversi decenni la chemioterapia, la radioterapia e le terapie ormonali. La chirurgia ha raggiunto uno standard qualitativo altissimo. Anche negli interventi più difficili la percentuale di rischio è veramente bassa. Nelle neoplasie agli stati iniziali consente l'asportazione del tumore dando le migliori opportunità di guarigione.

Tuttavia è bene sapere che in tumore di appena 1 cm ci sono circa 1 miliardo di cellule cancerose. In seguito ad un intervento chirurgico ben riuscito un' eventuale minima rimanenza residua pari allo 0,1% di cellule tumorali, significa avere ancora circa 1 milione di cellule maligne che potrebbero progredire. Per questo motivo spesso viene effettuato un trattamento chemioterapico adiuvante con la speranza di riuscire ad eliminare l'eventuale rimanenza. Su alcune tipologie neoplastiche la chemioterapia oggi consente di ottenere ottimi risultati, utilizzando farmaci più attivi e meno tossici. Più precisamente su leucemie, linfomi, sarcomi, tumori del testicolo e del corion la chemioterapia consente reali possibilità di guarigione. In altre neoplasie può contribuire ad aumentare significativamente la sopravvivenza, o a diminuire i sintomi della malattia. Tuttavia nella maggior parte dei tumori degli organi il trattamento chemioterapico ha un'efficacia molto limitata. Il motivo principale risiede nel fatto che non tutte le cellule neoplastiche vengo colpite dall'azione dei farmaci durante lo stadio di divisione cellulare. Quelle che sopravvivono si dimostrano essere sempre più resistenti al trattamento e aggressive. Di conseguenza le stabilizzazioni o le regressioni della malattia durante il trattamento chemioterapico sono spesso poco durature.

Gli evidenti limiti terapeutici offerti dai farmaci citotossici (chemioterapici) e dalle terapie radianti (radioterapia) per la maggior parte delle neoplasie ad alto grado di malignità, ha fatto ampliare gli sforzi dei ricercatori di tutto il mondo verso soluzioni diverse: lo studio dei geni, i nuovi vaccini terapeutici e lo studio delle cellule staminali rappresentano le sfide per la ricerca futura.


I farmaci a bersaglio molecolare.

Lo sviluppo delle biotecnologie applicate alla ricerca oncologica ha permesso, attraverso l'identificazione di molecole che interagiscono con un bersaglio molecolare specifico, di guardare alla cura del tumore con un pizzico di ottimismo in più. Nel prossimo futuro la cura alle neoplasie diventerà sempre più specifica e selettiva e, di conseguenza, meno invasiva, andando a colpire solo le cellule tumorali.

La produzione degli anticorpi è una delle forme più evolute a disposizione dell'uomo per combattere invasori esterni (virus, batteri) ed interni (tumori). Purtroppo le cellule neoplastiche, mettendo in atto una serie di strategie, sfuggono al riconoscimento degli anticorpi, rendendo inefficace la loro potenzialità difensiva. Le mutazioni presenti su alcune proteine delle cellule neoplastiche si comportano come interruttori sempre accesi, col risultato di stimolare costantemente la proliferazione cellulare maligna.

Da qui l'idea (già dal 1975) di produrre degli "anticorpi monoclonali", cioè anticorpi prodotti in laboratorio capaci di legarsi selettivamente all'antigene (proteina) presente solo sulle cellule tumorali. Sono quindi farmaci altamente specifici. Attualmente sono più di mille i farmaci in corso di sperimentazione, ma solo qualche decina è in uso per alcune tipologie di tumore.

La ricerca mette oggi a disposizione un´ampia gamma di agenti specifici per bersagli molecolari: anticorpi molecolari diretti a bloccare la proliferazione cellulare attraverso il recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR), inibitori delle proteine tirosin-chinasi, inibitori della farnesilazione della oncoproteina RAS, inibitori della angiogenesi (che inibiscono il rifornimento di sangue al tumore attraverso l´interruzione della produzione di nuovi vasi sanguigni), etc..

Su alcune tipologie neoplastiche alcuni di questi farmaci si sono rivelati molto efficaci.

Ad esempio nella leucemia mieloide cronica il farmaco inibitore della tirosin-chinasi Glivec (imatinib mesilato) determina una risposta clinica positiva nella quasi totalità dei casi.

Il limite di questi farmaci è dato dal fatto che non sempre l´antigene viene espresso dalle cellule tumorali. Più precisamente, come sostiene lo stesso Silvio Monfardini, Direttore dell´Istituto di Oncologia dell´Azienda Università Ospedale di Padova, "non tutte le cellule neoplastiche esprimono il bersaglio contro cui sono diretti i farmaci. Può anche accadere che l´anticorpo monoclonale non si attivi direttamente sulla cellula, ma venga bloccato dall´antigene tumorale che circola nel sangue e quindi risulti inutile perché non può arrivare al bersaglio biologico per cui è costruito". Inoltre, in molti casi, benché preciso ed efficiente, il farmaco monoclonale non è sufficiente ad inibire completamente lo sviluppo della malattia. Spesso la crescita del tumore non è legata ad un unico fattore. Pertanto il blocco di un unico elemento attraverso un anticorpo specifico, come ad esempio l´anti - fattore di crescita dei vasi VEGF, può non bastare.

L'obiettivo delle terapie ufficiali nelle fasi avanzate della malattia:
aumentare la sopravvivenza.

I tumori non sono tutti uguali. Si distinguono per il grado di malignità e per la stadiazione che spesso può determinare la presenza di metastasi.

Per qualsiasi tipo di tumore esistono 4 stadi (in ordine crescente di gravità) che valutano l'estensione della malattia. La conoscenza dello stadio della malattia è importante per fornire al malato le cure più appropriate, oltre che per formulare una probabile prognosi.

Gli stadi I e II sono considerati iniziali. La neoplasia è circoscritta e la prognosi, soprattutto se non c'è coinvolgimento dei linfonodi, è spesso positiva.
Gli stadi III e IV sono invece considerati avanzati e la prognosi è quasi sempre infausta. La malattia è diffusa in diversi organi e normalmente risulta essere più aggressiva e resistente alle terapie. La neoplasia, a questo punto, avendo fatto metastasi, deve essere aggredita in modo sistemico.

In conseguenza di ciò l'operazione chirurgica spesso non trova un'indicazione clinica valida e la terapia più idonea è normalmente rappresentata dalla chemioterapia per il trattamento iniziale (1° linea) e dai farmaci a bersaglio molecolare per il trattamento successivo (2° linea), più eventualmente dei cicli di radioterapia.

Nella fase avanzata della malattia, tali terapie, pur avendo un'azione sistemica, agendo cioè su tutto il corpo, non hanno più lo scopo di guarire, ma sono finalizzate ad aumentare il più possibile la sopravvivenza limitando i sintomi della malattia e i dolori del paziente (obiettivo curativo / palliativo). A parte alcune eccezioni rappresentate da tumori con basso grado di malignità (come ad esempio il tumore del testicolo), il trovarsi con una neoplasia avanzata al III o IV stadio per la quale si può solo tentare di rallentarne lo sviluppo, vuol dire vivere la situazione più drammatica per un malato di tumore (e per i suoi cari).

È una situazione psicologica terribile: ci si sente dei condannati a morte. Si fanno pensieri negativi del tipo: "forse morirò tra pochi mesi", "forse il progredire della malattia mi porterà a breve a provare dei dolori insopportabili", "cosa sarà della vita dei miei cari senza di me", ed altri pensieri contrastanti in cui un naturale istinto di sopravvivenza porta in ogni caso a nutrire delle speranze: "forse se riesco a sopravvivere per qualche anno, poi potrò contare su una nuova cura risolutiva", "forse potrò entrare in qualche nuovo protocollo sperimentale", "forse esiste una cura non ufficiale miracolosa".

L'aumento della sopravvivenza.

Nei casi di neoplasia agli ultimi stadi aumentare la sopravvivenza può voler dire cose profondamente diverse: prolungare la vita di diversi anni o di pochi mesi. Nel primo caso è possibile affrontare la vita con un certo coraggio sperando che nel corso del tempo si possa arrivare ad una cura nuova possibilmente risolutiva. Nel secondo caso è veramente difficile, se non impossibile, trovare la forza anche per affrontare il presente.

I medici sono oramai in grado di formulare prognosi con un margine di errore molto basso, soprattutto quando le aspettative di vita sono legate a pochi mesi. Spesso trovano il modo per informare il malato o i parenti stretti della situazione, altre volte non lo fanno perché non lo ritengono di alcun aiuto, sia da un punto di vista psicologico, sia da un punto di vista terapeutico, in quanto secondo loro, non esistono cure alternative significative.

Ma dinanzi alla certezza di una morte inevitabile ed imminente è eticamente corretto ritenere qualsiasi terapia alternativa non significativa ?

O forse è ragionevole pensare che per un malato senza più possibilità di guarigione, il dover affrontare trattamenti invasivi di scarsa efficacia sia ancor meno significativo che valutare con la dovuta attenzione la possibilità di una terapia diversa ?

In questa prospettiva, per il malato, ricorrere ad una possibilità terapeutica diversa potrebbe essere solo un desiderio legittimo, o addirittura un diritto sacrosanto ?

Nella realtà tale presunto desiderio o diritto vengono negati. Perché ?

 

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