Le terapie ufficiali sono terapie che sono state sperimentate a lungo. Normalmente un farmaco prima di poter essere immesso sul mercato e impiegato a fini terapeutici deve passare una serie di test secondo precisi criteri scientifici su cui esiste un accordo internazionale.
Più precisamente quando un gruppo di ricercatori immagina una nuova cura, viene avviata dapprima la fase preclinica, cioè vengono studiate le proprietà chimiche e tossicologiche della sostanza, con lo scopo di identificare in laboratorio l'eventuale tossicità. Solo successivamente viene avviata la vera sperimentazione clinica sull'uomo, che si articola in 3 fasi.
Nella fase I (che dura circa 1 anno) si deve confermare l'assenza di tossicità (già rilevata a livello preclinico in laboratorio) anche sull'uomo. Nella fase II (che dura circa 4 anni) si deve verificare l'attività antitumorale del farmaco, stabilendo tempi e dosaggi e raggruppando i soggetti (circa un centinaio) in base a caratteristiche simili.
Nella fase III (che può durare tanti anni) si cerca di stabilire l'efficacia del farmaco rispetto alle terapie già esistenti. La sperimentazione coinvolge migliaia di persone (secondo un preciso protocollo in cui vengono arruolati solo pazienti aventi determinate caratteristiche). Una volta valutata la reale efficacia negli anni in termini di aumento della sopravvivenza rispetto al farmaco preesistente, nonché l'entità degli effetti collaterali a lungo termine, si passa alla commercializzazione.
Ciò significa che un farmaco prima di essere immesso sul mercato impiega dai 10 ai 15 anni. E' un regolamento a tutela della salute del malato che vieta l'utilizzo di un farmaco che non abbia ancora superato tutti i test.
Il pensiero scientifico.
Da sempre la scienza procede secondo un criterio: tutto ciò che non supera determinate prove non è significativo. Di conseguenza non ha valore, non esiste. È un modo di procedere che assicura ai pazienti oncologici la migliore possibilità di cura tra quelle conosciute e sperimentate.
Ed è un bene che sia così. Pensiamo alla confusione a cui potrebbe andare incontro un paziente oncologico se dovesse scegliere come curarsi tra decine o centinaia di possibilità diverse, senza che ci sia un criterio universalmente riconosciuto che stabilisca quale sia la terapia che offra le migliori possibilità di successo (per ogni tipo di malattia) fra le tante esistenti.
Grazie alla ricerca scientifica si è in grado di impostare la terapia più idonea per ogni tipo di tumore, cioè che tipo di opzione terapeutica (intervento chirurgico, farmaco chemioterapico, etc...) scegliere in base allo stadio della malattia e alle caratteristiche del paziente. In altre parole è possibile scegliere la strategia terapeutica che sulla carta da le migliori chance di successo.
Quando la prognosi è particolarmente infausta.
La maggior parte dei tumori con alto grado di malignità, soprattutto in uno stadio avanzato, si dimostra abbastanza "resistente" alle terapie. In questi casi, se andiamo a valutare le statistiche (ad eccezione di poche tipologie), ci accorgiamo che la percentuale di sopravvivenza a 5 anni è veramente molto bassa. In certi casi l'aspettativa di vita è di alcuni mesi, non di anni. Cosa fare in questi casi ? La possibilità di tentare un nuovo farmaco promettente non è sempre possibile, infatti per essere "arruolati" in una sperimentazione di un nuovo farmaco bisogna possedere determinate caratteristiche (essere ad un certo stadio di malattia, aver fatto già un certo numero di cicli di chemio, etc...).
In casi come questi, spesso ci si pone un interrogativo: è meglio seguire in ogni caso i protocolli ufficiali, anche a fronte di aspettative per nulla incoraggianti, affrontando terapie invasive, o meglio tentare una cura diversa, forse meno testata, con la speranza di ottenere una risposta migliore ? Non credo esista una risposta giusta in senso assoluto. Probabilmente ogni malato dovrebbe poter decidere autonomamente. Ma sappiamo che non è così.
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